Il ciclo
Tokio 018
Completamente rivestito lo aiutarono a sedersi al tavolo della sala da pranzo.
Ronzandogli intorno come mosche su un vasetto di miele le due donne in pochi minuti apparecchiarono la tavola come fosse ad un qualsiasi ristorante.
Ma erano, praticamente nude, estremamente servizievoli e con le natiche vistosamente segnate dalle frustate. Il grande formalismo che adottavano, creava un atmosfera quasi surreale, sembrava di essere in un film di Bunuel.
Le porgevano con grande enfasi i vari manicaretti che prendevano da un carrello.
Le porzioni erano minuscole alla maniera giapponese. Assaggiò tutto ma finiva solo quello che gli piaceva. Un acuto osservatore però avrebbe notato la differenza delle espressioni tra le due donne. Entrambe erano nude, entrambe avevano le natiche tumefatte ma una era felice e una no.
Miku aveva proprio piacere a servirlo si sentiva onorata, come padrona di casa ma anche come donna. Suki invece dopo che Miku le aveva lavato la faccia quasi a forza, si era un po’ ripresa ma era poco più di uno zombi.
… Signore dice che, é molto onorata che una persona così famosa si interessi a lei. La sua storia però non è bella e non è particolarmente interessante.
Miku fece un grande inchino di ringraziamento e cominciò a parlare.
Lei non è una lesbica naturale lo è diventato per repulsione verso gli uomini. Un giorno la sua amica non riusciva a liberarsi di un cliente che pretendeva di essere trattato male e di essere battuto. La cosa stava diventando fastidiosa lei aveva voglia di rientrare in casa e questo invece non aveva nessuna voglia di uscire a quel punto, esasperata ha preso una cintura di cuoio e pensando al suo primo padrone ha cominciato a picchiarlo con grande forza e ad insultarlo. Il cliente rimase talmente soddisfatto che pagò il doppio della parcella e tornò molte altre volte.
Da li è iniziata questa sua carriera. Finche non ha incontrato l’ ambasciatore che si è innamorato di lei. Ha smesso di fare la prostituta e praticamente faceva la mantenuta, ha vissuto solo con lui. Era un masochista naturale ed ha messo in piedi il “Dungeon” che abbiamo visto di sotto. Per alcuni anni ha vissuto “quasi” felice, ma poi lui è morto e ha dovuto riprendere il lavoro.
Alla fine del racconto ci fu un grande silenzio carico di commozione.
Senza farsi aiutare l’ uomo si alzò in piedi e a mani giunte, fece un grande inchino alla maniera giapponese.
Miku sbigottita rimase per qualche istante impietrita poi, commossa sino alle lacrime, gli prese le mani e le baciò con grande trasporto.
Travolta dall’ emozione scappò via quasi di corsa asciugandosi le lacrime.
Ritorno dopo qualche minuto vestita da un elegantissimo kimono azzurro. Si era anche velocemente truccata alla maniera giapponese e si era acconciata i capelli con grandi spilloni di legno.
Lui la accolse al tavolo alzandosi di nuovo in piedi e si sedette solo dopo di lei.
Suki servì subito anche lei. Avanti e indietro dal carrello serviva entrambi i commensali con grande professionalità nonostante fosse praticamente nuda.
Miku rimase un po’ pensierosa e poi con un gran sorriso fece cenno di si.
La cena continuò con grande cordialità. Lui le raccontò di come avesse tentato in tutti i modi di tenere sotto controllo questa sua ossessione. Di come si fosse sentito a disagio nei primissimi approcci con le amiche d’ infanzia. L’auto esclusione che si era praticamente imposto nell’ adolescenza da tutte quelle manifestazioni di aggregazione tipiche della gioventù, la discoteca, la gita collettiva, la caccia alle turiste straniere ecc. Di come inspiegabilmente questa sua perversione fosse presente già prima della pubertà in età pre-scolare. Si ricordava di essere rimasto affascinato da un fumetto dove c’era una indiana legata al palo della tortura. Era un disegno castissimo e senza nessun riferimento erotico, ma lui si ricordò di averlo copiato di nascosto, ricalcato sul vetro della finestra del bagno e di aver percepito da subito il pudore di non mostrarlo a nessuno. Tutto questo prima ancora di saper scrivere.
Senza saperlo entrambe le donne ebbero il desiderio di baciarlo lì seduta stante, ma nessuna delle due ebbe il coraggio di farlo.
Ad un certo punto Suki con grande imbarazzo disse qualcosa a Miku che la guardò piuttosto sorpresa ma poi le rispose in maniera affermativa . Immediatamente si rivolse verso di lui e tradusse.
Seguendo le indicazioni di Miku uscì dalla stanza con un grande inchino.
Miku si alzò e senza esitare, da perfetta padrona di casa, prese il suo posto, andò verso il vassoio e servì all’ uomo un dolce al cioccolato. La cena era praticamente alla fine e senza la traduzione di Suki, praticamente non avevano modo di parlare, si scambiarono solo dei sorrisi.
Miku li accompagnò in albergo che erano quasi le ventidue. Saburo che era in servizio quella sera li aiutò a scaricare la valigia. Al momento del congedo Miku diede un bacio a Suki e poi fece per darne uno anche a lui. Incrociando la presenza del fattorino non osò farlo, fece solo un grande inchino formale.
Miku tirò fuori da una manica del kimono due chiavi tenute insieme da un anello metallico e le diedi a Suki dicendole qualcosa in giapponese. Doveva essere un qualcosa di malizioso perché Suki si coprì la faccia e sorrise imbarazzata.
Saburo li accompagnò sino alla porta della camera portando la valigia, lei lo precedeva spingendo la carrozzina.
Non lo fece entrare. Sulla soglia prese lei la valigia e lo congedò con un saluto formale. Quella era casa sua e non ci voleva nessuno. Una volta dentro senza aspettare ordini si diresse verso l’ armadio e cominciò a trasferire abiti da uno scomparto all’ altro.
Seduto sotto la finestra aperta la guardava con un po’ di risentimento. In quel momento lui era stato messo da parte. Era una padrona di casa che stava mettendo in ordine senza chiedere ne preoccuparsi del marito. Era un frammento di una possibile situazione familiare. Aveva quasi voglia di darle qualche ordine imbarazzate di rompere quella specie di quotidianità, era infastidito.
Aveva liberato completamente la sezione di sinistra dell’ armadio e aveva cominciato a riempirla con gli abiti della valigia.
Stava per interromperla ma si fermò incuriosito. Aveva adoperato la griglia appendi cravatte come un espositore degli strumenti punitivi. Li aveva appesi in ordine di lunghezza ed aveva fatto un lavoro ordinato e molto erotico.
Suki, mentre stava appendendo un frustino da cavallerizzo, si rese conto di essere osservata.
La stava guardando con insistenza e in maniera libidinosa, arrossì violentemente, ma non disse niente.
Continuò a svuotare la valigia, con la coda dell’ occhio però non smetteva di sorvegliarlo, sperava in cuor suo di non avere più richieste, era stata una giornata pesantissima e aveva solo voglia di dormire. Pregava gli antenati pregava che lui fosse talmente stanco da lasciarla in pace. Aveva il culo che friggeva come una omelette e pensare solo di essere sfiorata le faceva piegare le ginocchia.
Guardava fuori dalla finestra meno male.
Si tolse le scarpe e le ripose nella parte neutra dell’ armadio.
Si muoveva piano quasi a voler scomparire, adesso però stava di nuovo guardandola.
Azzardò una domanda.
Per niente rassicurata continuò a mettere in ordine, prese la divisa tagliata e la spostò a fianco degli altri vestiti erotici.
Si guardò attorno e trovò a fianco della porta d’ ingresso lo scatolone del supermercato.
Non rispose, fece solo un inchino di assenso.
Aprì la scatola e mise tutto il contenuto sopra al tavolo. Appese subito i vestiti ed il kimono.
Mise la minuteria dentro un cassettino. Poi si fermò, piuttosto preoccupata di fronte alla panoplia di oggetti che erano rimasti.
Si guardarono in silenzio.
Ne le hagoita ne le due canne ne tantomeno le racchette avevano niente con cui potessero essere appese.
La parola nastro fece scattare il ricordo delle verghe. Rimase perplessa. Le venne per un attimo il pensiero di gettarle via senza dirgli niente. Aveva talmente tanta roba per punirla che sicuramente non avrebbe cercato altro, ma l’ amore con cui le aveva fatte glielo impedì.
Si infilò un paio di scarpe basse e corse via come se avesse fretta.
Gli veniva da sorridere. Il destino gli aveva regalato un angelo. Si sentiva attratto in maniera patologica Nonostante fosse stanco ed appagato aveva voglia di frugarla di accarezzarla e di possederla. Guardò le stelle fuori dalla finestra. Aveva le mestruazioni e le avrebbe dato una settimana di pausa. Sperava in cuor suo di non patire troppo l’ astinenza.
Ritornò con un grande involucro di carta in mano. Non lo mise sul tavolo ma si inginocchiò alla maniera giapponese e lo aprì in terra davanti a lui.
Mise le verghe in ordine perfettamente allineate in ordine di grandezza piegò diligentemente la carta e con inchino le presentò al suo signore.
Senza dire una parola Suki fece un inchino fino a terra. Naturalmente se lo era immaginato ma sentirselo dire in quel modo le procurava una specie di chiusura dello stomaco.
Sperava solo che non cominciasse subito. Implorava gli antenati che la risparmiasse.
Le raccontò dettagliatamente l’ incontro con la signora Iwamoto.
Signore Suki ha la necessità di lavarsi e cambiare il pannolino. Disse un po’ imbarazzata.
Lo aiutò ad alzarsi dalla sedia e cominciò a spogliarlo. Lui ormai non ci faceva più caso, per lui stava diventando una routine, ma lei non riusciva ad abituarsi. Ogni volta provava un grande imbarazzo specialmente quando doveva togliergli i pantaloni. Rimase praticamente in mutande. Lo aiutò ad alzare la gamba ingessata e lo coprì.
Mentre riponeva gli abiti vide i quaderni dei diari e fece un profondo sospiro di rassegnazione.
Doveva ricordarsi di aggiornarli.
Tirò fuori il futon e lo stese in mezzo alla stanza.
Cominciò a spogliarsi, con la coda dell’ occhio guardò verso di lui. La stava osservando.
Era evidente che non aveva nessuna intenzione di darle un po’ di privacy anzi la guardava con compiacimento. Appese la giacca su una stampella. Decise che forse era meglio interrompere lo spogliarello. Visto che non le aveva ordinato niente decise di aspettare a spogliarsi. Prese le forbici e il nastro adesivo dal cassetto e si mise a lavorare sui manici degli oggetti che non potevano essere appesi. Lui continuava a guardarla senza dire niente. Prese tutti gli oggetti dal tavolo e si mise a lavorare a terra in ginocchio alla maniera giapponese. Aveva fatto tutti i legni senza problemi come fossero oggetti comuni. Aveva applicato con il nastro adesivo, delle piccole asole con cui potevano essere appesi, insomma un piccolo bricolage casalingo, ma quando arrivò alla canna da pesca più grossa cominciò a riflettere. Istintivamente guardò verso di lui. Non la guardava più o per lo meno non con la stessa insistenza. Aveva reclinato la testa da un lato e forse aveva chiuso gli occhi.
Cominciò a rendersi conto che quella canna si sarebbe consumata sopra alle sue chiappe. Il nastro telato che stava avvolgendo attorno alla parte più grossa serviva solo ad agevolare la presa in modo tale che lui potesse colpirla con più agio e più forza. Le natiche doloranti non smettevano di pulsare e le confermavano quei pensieri. Le venne un groppo alla gola. Si fermò e socchiuse gli occhi. Respirava affannosamente. Aveva bisogno di un minuto di pausa. Lasciò tutto in terra e si diresse al bagno. Si lavò la faccia e si rinfrescò anche il collo. Si spogliò completamente e mise il pannolino in un apposito sacchetto. Si guardò le natiche allo specchio. Certo non si era risparmiato, faceva fatica a trovare un centimetro di pelle intatta, in mezzo aveva dei grandi solchi viola. Inutile dire che mandavano un grande dolore fisico. Sembrava che avesse un fuoco acceso sulla pelle. Si mise la faccia tra le mani e si inginocchiò appoggiando i gomiti sul bordo della vasca. Aveva appena riempito un armadio di attrezzi, a terra vi erano ancora le canne di fibra da finire, dentro la vasca era piena di verghe, stava diventando peggio di un incubo di Hitchcock. Avrebbe passato tutta la vita a culo in aria in attesa di essere frustata. Però poteva andarsene. Si scosse e si alzò in piedi, si diresse verso lo specchio per guardarsi bene in faccia. Poteva andarsene, in qualsiasi momento avesse voluto, poteva andarsene. Era inumano restituire un milione di dollari pagandolo solo con il culo. Focalizzò che … che quel che aveva appena pensato non era solo un modo di dire prima o poi l’ avrebbe sodomizzata. Finora era riuscita ad evitarlo ma poteva starne certa che ormai era arrivata al capolinea. Non ci sarebbe stata Miku a salvarla in corner. Si lavò di nuovo la faccia.
Guarda che nessuno ti trattiene. Te lo ha sempre detto. Puoi andartene in qualsiasi momento. Che stai a fare qui? Guarda che non sei mica legata. Disse guardandosi allo specchio. Scoppiò a piangere. Si mise una mano sulla bocca per non farsi sentire. Si spruzzò di nuovo la faccia di acqua fresca. Entrò dentro alla vasca, fece attenzione a non calpestare le verghe aprì un po’ di acqua fredda e con il telefono della doccia se la spruzzò sulle natiche doloranti. Emise un grande respiro di sollievo. L’ acqua nella vasca era diventata leggermente rosa. Adesso si muoveva con grande circospezione, faceva piano si era resa conto che ormai, la luce del bagno era l’unica che era rimasta accesa. Sicuramente si era messo a dormire. Silenziosa come una pantera nella notte completamente nuda uscì dal bagno. Socchiuse la porta in modo la lasciare solo una sottile lama di luce. Doveva assolutamente trovare le mutande pulite e un n uovo pannolino. Disse a se stessa che aveva il diritto anche di fare un po’ di rumore in fin dei conti mica era … Si diresse verso l’ armadio. Era più forte di lei si sentiva il dovere di fare pianissimo. Non era per vigliaccheria non aveva paura che lui si arrabbiasse, semplicemente si sentiva in dovere di fare pianissimo di non disturbarlo … si sentiva schiava. Si asciugò una lacrima che silenziosa gli scendeva sulla guancia. Trovò tutto, anche il babydoll e lo indossò facendo lo stesso rumore di un ombra. Spense la luce del bagno e raggiunse il futon in mezzo alla stanza. Si distese bocconi. Ogni altra posizione le era espressamente negata dal dolore che proveniva dal suo culo. Quella posizione le ricordò che doveva confessare anche la masturbazione che si era fatta a casa in camera sua. Avrebbe dovuto scriverlo sul diario. Chiuse gli occhi con forza come a scacciare quel pensiero. Ma sei scema ? Non ti bastano quelle che devi già prendere ? Scema deficiente stai zitta non lo saprà mai. Si addormentò sapendo che l’ indomani la prima cosa che avrebbe fatto sarebbe stata aggiornare il diario.
Non era stato un sonno tranquillo, non aveva riposato bene, forse anche per le mestruazioni. Si svegliò in preda all’ angoscia. Aveva una sensazione come se dovesse finire il mondo. Erano anni che non le capitava di svegliarsi con quel peso sulla coscienza. Era inquieta perché non riusciva a capire cosa stava capitandole. Aveva la sensazione di essere sospesa. Di essere colpevole di qualcosa. Finalmente capì, come una luce che si accende nel buio, si ricordò che non aveva finito di fare il lavoro, di non aver eseguito il suo ordine. Infatti lì a pochi centimetri dalla sua faccia, illuminate dalla fioca luce dell’ alba, c’erano le due canne ancora in terra. Una completamente pulita e l’ altra con ancora il rotolo di nastro avvolto per metà. Fece un gran respiro di sollievo. Facendo pianissimo si alzò si mise in ginocchio a finire il lavoro. L’ angoscia si era attenuata ma, i dubbi della sera però erano rimasti perché non riusciva a stare in ginocchio seduta. Le natiche le facevano così male che ogni minimo movimento le causava una fitta di dolore. Il passare del tempo aveva peggiorato la situazione, il dolore era stabilizzato ma più profondo. Provò a sedersi sui talloni … inutilmente. Si dondolava avanti indietro per cercare un punto di equilibrio tra la stabilità e il dolore emanato. Pensava più al dolore che a quello che doveva fare e questo non andava bene. Fece un gran respiro e si alzò in piedi. Si era molto meglio finì di sistemare le due canne appoggiandosi al tavolo. Si era venuto un bel lavoro chissà se lui lo avrebbe mai apprezzato. Come un ombra si diresse verso l’ armadio e lo aprì pianissimo stando bene attenti a non fare scricchiolii. La visione era imponente e allo stesso tempo angosciante. Le tremavano le gambe la rastrelliera delle cravatte era completamente piena non aveva più spazio per appendere niente. Le appoggio momentaneamente sul ripiano ai piedi dei vestiti. Guardò verso il letto “ Lui “ ancora dormiva profondamente. Prese i quaderni e chinata sul tavolo senza sedersi, cominciò ad aggiornarli.