Gli ordini
Fece tre numeri al telefono.
Dopo pochi minuti bussò alla porta.
Aveva portato un carrello pieno di roba.
Senza darle ascolto si era diretta verso il letto ancora sfatto e lo esaminava con curiosità, in cerca di qualche traccia compromettente.
Suki la raggiunse la trascinò fuori a forza e le diede un ceffone.
Rimasero per un po’ in silenzio, entrambe imbronciate una con l’altra.
Le passò il taccuino.
Divenne muta e guardò la sua amica negli occhi.
Tirò un sospiro di sollievo e si rilassò.
Suonò il telefono.
Gli fece il cenno dell’ O.K. alzando il pollice della mano destra.
Doveva trovare qualcosa per farsi sculacciare. Oh per la miseria non è mica facile. Che cosa ha in mente? Sicuramente qualcosa ha in mente per farle quella richiesta strana. Sicuramente gli piace, glielo ha anche detto esplicitamente, non l’ha certo ingannata.
Ha fatto di tutto per mandarla a casa.
Si fermò davanti allo specchio e si guardò le natiche.
I segni della canna erano ancora molto evidenti. Aveva il cuore che batteva a 100 all’ora.
Doveva trovare qualcosa, ma cosa? Cominciò a rovistare nei cassetti.
Non le veniva in mente niente.
A dire la verità non riusciva a pensare a niente era come se avesse un blocco mentale.
Il telefono emise un ronzio. Immediatamente si tolse la giacca e la ripose nell’armadio.
Il ronzio del telefono continuava … un altro.
La senti salutare qualcuno in Inglese
Corse al bagno e prese la spazzola. Era di legno. Si diede un piccolo colpo sulla coscia. Aiahh! E si andava proprio bene. La posò sul tavolo. Rilesse il foglietto.
Doveva cercare ancora. C’era la spazzola per pulire i vestiti ma no, non poteva andare bene.
Va bene la canna ma non credo che contava … sentiva freddo anche sui fianchi e le cosce.
Prese l’ accappatoio e lo indossò. Vide la spazzola per lavare la schiena … Ohh! Mamasan … quella doveva fare veramente male. La prese la soppesò era di plastica dura, però era minacciosa come una mannaia. E’ strano come gli aggetti acquistino una luce tutta diversa. Non la provò sulla coscia non ce ne era bisogno. La posò sul tavolo accanto all’altra spazzola. Cercò in lungo e largo ma non le venne in mente niente altro.
Bussarono alla porta era Yuko e portava il computer portatile.
Guardò e soppesò i due oggetti si diede un piccolo colpetto sul palmo della mano.
Entrambe si precipitarono verso l’armadio.
La mise sul tavolo insieme alle spazzole.
La stanza era avvolta nel più assoluto silenzio. Avrebbe potuto accendere la TV ma non aveva intenzione di farlo. Aveva rifatto il letto e aveva messo in ordine la stanza. Era tutto perfettamente in ordine. Solo sul tavolo c’era l’ anomalia di quei quattro oggetti palesemente fuori posto ma allineati con pignoleria tutta orientale dal più lungo al più corto. La canna, la spazzola per la doccia, la ciabatta e la spazzola per i capelli. Era inginocchiata vicino alla finestra e guardava fuori. Era bello avere qualcuno da aspettare. Forse però non era giusto essersi vestita senza il suo permesso.
Si alzò e ripose l’accappatoio nel bagno. Non era per paura Yuko sicuramente l’avrebbe avvertita.
Non era per paura, non sapeva bene neanche lei perché, però sapeva di doverlo aspettare nuda.
Adesso il sole era alto e non aveva più il freddo di prima. Prese il taccuino e senza ragionare cominciò a scrivere. Pagina dopo pagina. Il tempo scorreva lento. Guardò l’orologio appeso ad una parete erano le cinque del pomeriggio.
Il telefono squillò una sola volta. Fece un sussulto. Stava tornando.
Entrò in agitazione. Sicuramente lo avrebbero accompagnato i due fattorini e sicuramente sarebbero entrati. Non ce la faceva però a farsi vedere nuda da loro. Istintivamente corse verso il bagno. Bussarono alla porta. Era nel panico più completo. Doveva aprire. Bussarono di nuovo.
Corse verso la porta ed aprì facendo però solo capolino con la testa. Era Saburo che spingeva la sedia a rotelle su cui era seduto il suo padrone.
Parlò in giapponese. Il ragazzo insistette ma lei con autorità gli ordinò di andarsene.
Ma soprattutto lui seduto sulla carrozzina fece un cenno inequivocabile. Saburo fece un inchino e se ne andò lasciandolo sulla soglia. Prima che la porta dell’ascensore si richiudesse le lanciò un sorrisetto ironico come a dire che se anche non aveva visto niente, sicuramente aveva intuito che lei non era presentabile.
Ohh! Al diavolo che se ne andasse pure a masturbarsi dove voleva. L’importante era che non aveva visto niente.
Spalancò la porta e gli si presentò davanti completamente nuda. Fece un profondo inchino alla maniera orientale.
Rimase estasiato, questa volta non fu sorpreso, anzi era certo di trovarla nuda, però a vederla era tutta un'altra cosa. Spingendo sulle ruote grandi con le mani, entrò autonomamente.
Lei richiuse subito la porta e rimase ferma in attesa di ordini. Si accorse che gli avevano ingessato la gamba e che non poteva piegare il ginocchio.
Le porse il collo in modo che lui si potesse aggrappare. Poi fece forza col busto e lo tirò su.
Praticamente si trovarono abbracciati.
Non aveva nessuna intenzione di mollarla, non aveva fatto a posta, ma adesso che l’ aveva tra le braccia decise di godersela un po’. Slacciò la cintura della veste da camera e se la premette contro il corpo.
Le abbrancò le natiche con forza a ribadire in indiscutibile possesso.
Non era mai stata in quella situazione infilò le mani sotto la maglietta e lo abbracciò in vita. Era caldo … era caldo e forte. Lui la premeva forte contro il suo ventre. Percepì come in un rallenty le varie fasi della sua erezione. Appoggiò la guancia sul suo petto Non osò baciarlo. Avrebbe voluto farlo tutti i suoi sensi le dicevano prepotentemente di baciarlo ma non osò.
Sentiva che lui la muoveva come un fuscello e l’adoperava come fosse una spugna da massaggio per il suo cazzo.
Ogni tanto la staccava letteralmente da terra. La afferrava come un rapace afferra la preda.
Ma non le importava niente le sensazioni che salivano dalla sua fica erano una cosa che non aveva mai provato.
Bussarono alla porta … Bussarono di nuovo con insistenza.
Disse staccandola con riluttanza. Mentre si allontanava saltellando, non poté fare a meno di appiopparle un sonoro sculaccione.
Aprì la porta.
Era il suo manager.
disse indicandogli una poltrona
Si girò per chiamarla ma lei era subito comparsa come avesse letto il suo pensiero.
Si era messa l’accappatoio ma aveva fatto una specie di cintura con un panno sembrava un kimono.
Leggermente corto ma, la sensazione era quella del kimono informale.
Andò al telefono e ordino in giapponese. Approfittando che Bellocci gli dava le spalle con molta discrezione rimosse alcuni oggetti dal tavolo e li portò in bagno. Lui le fece un sorriso di approvazione.
Le questioni da trattare non erano molte, ma erano amici e rimase anche a cena.