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Simona

 

Carissimi,

voglio portare alla vostra conoscenza la mia modesta esperienza nel campo della sculacciata. Sino a qualche anno orsono, ho frequentato la facoltà di lettere (lingue e letterature straniere moderne) dell’Università di Pavia.

In lingua inglese me la cavavo abbastanza bene ma, per quella francese, decisi che era necessario effettuare della conversazione con qualcuno che fosse “madrelingua”. Solo così, infatti, ritenevo di poter migliorare la mia pessima pronuncia ricca d’orribili inflessioni valtellinesi.

Conobbi la signorina Michelle tramite uno dei tanti annunci esposti nella bacheca dell’università, fra quelli di ragazzi che vendono chitarre o, altri, che cercano casa.

Vengo subito al dunque per non “consumare” spazio prezioso.

Le sue lezioni private avvenivano così.

Quando avevo commesso un certo numero d’errori grammaticali o di pronuncia, ero invitata a raggiungere la camera da letto della signorina Michelle. La stessa, mi faceva spogliare dalla cintola in giù e mi obbligava a stendermi sul letto con le natiche prominenti, bene in vista.

Secondo la gravità degli errori commessi, ella stabiliva il numero dei colpi.

Potevo riceverne venti, trenta, a volte anche quaranta.

No, non con le mani.

La signorina Michelle usava un frustino che chiamava “martinet”.

Mentre mi colpiva, io sfregavo le mie grandi labbra, le ninfe e la clitoride sul suo copriletto. Era più forte di me.

A volte, riuscivo a venire (non copiosamente, per fortuna. Si sarebbe accorta del mio godimento).

Quando questo accadeva, mi dibattevo urlando e la signorina credeva che fosse per il dolore.

Devo confessare che oggi queste particolari attenzioni mi mancano moltissimo.

Sì, mio marito mi soddisfa sessualmente ma io, purtroppo, non oso chiedergli di prendermi a frustate o sculacciarmi: non ne ho il coraggio. Forse, con lui, non proverei neppure il medesimo piacere che era capace di farmi provare la signorina Michelle!

In ogni caso, la settimana scorsa, ho giocato il tutto per tutto.

Sono tornata a suonare il campanello della mia insegnante di francese.

Abbiamo chiacchierato, amabilmente conversato, riso e scherzato. L’argomento è caduto sulle sue severe punizioni corporali.

Con un sorriso mi ha detto:

- Te ne ricordi ancora, dunque? Confessa che ti facevano un gran bene! Eri così tranquilla e studiosa quando ti lasciavo col sederino in fiamme!

Io, col viso rosso per la vergogna e per l’eccitazione che già avvertivo, mi sono ben guardata dall’affermarle che quello che più mi faceva bene era lo strofinare il mio sesso contro le sue lenzuola!

Sbadatamente, però, ho urtato un grazioso vaso di cristallo che era posto in bella mostra su di un tavolino, accanto al divano.

Vaso, al quale la signorina Michelle era particolarmente affezionata, tanto da arrabbiarsi seriamente alla vista dei numerosi cocci che giacevano sul pavimento.

- Mia cara ragazza, meriteresti una bella sculacciata! Chiedi almeno scusa per la tua goffa sbadataggine!

Io, per tutta risposta, ho abbassato gli occhi e non ho proferito alcuna parola.

La professoressa Michelle mi ha preso per un polso e, strattonandomi, mi ha indicato la porta della propria camera da letto.

Puntando il dito indice verso il suo letto in ottone, con tono autoritario, secco e deciso, mi ha ordinato:

- Svelta, alza la gonna e abbassa le mutandine!

Ho tentato di nascondere al meglio le mie emozioni, nonché la crescente eccitazione per l’incredibile situazione da tempo anelata.

Ho fatto salire verso la vita, con non poca fatica, la gonna aderente di colore panna. Con estrema titubanza ed esitazione ho infilato le dita sotto l’elastico del minuscolo indumento, ultimo baluardo di difesa, che ancora mi proteggeva dalla completa messa a nudo delle rotondità posteriori.

Le bianche mutandine di fine ed impalpabile cotone, sono scese verso il basso, sino a raggiungere le ginocchia.

Lo sguardo della mia insegnante, minaccioso e severo, ha indugiato a lungo sulla mia fica e sulle cosce sode e ben tornite.

Conoscevo il rituale alla perfezione e mi sono sdraiata di traverso sul letto, allungandomi bene a pancia sotto.

Quando ero nella posizione desiderata, la signorina Michelle apriva un mobile antico di noce e, da un cassetto in esso contenuto, estraeva il fatidico e mitico “martinet”.

La sola vista di quello strumento di coercizione e punizione, aveva – ed ha tuttora – il potere di farmi fremere ed eccitare.

Istintivamente, le mie natiche incominciano ad oscillare nell’attesa di ricevere i meritati colpi.

Sento il sangue montarmi alla testa e mi sento ribollire tutta. Le grandi labbra e la clitoride si gonfiano, diventando tumide e pulsanti.

Dopo il primo colpo di una lunga sequenza, sono seguiti corrispondenti sussulti, mugolii, sussurri ed urla trattenute.

Quando i terminali di pelle dello strumento, mordevano la mia carne nei punti più interni, delicati e sensibili, urlavo di vero piacere mentre avvertivo gli umori vischiosi che stillavano dal mio sesso pulsante.

Nulla era risparmiato.

Anche le parti più recondite, quali la zona anale interglutea e le piccole ninfe, erano ripetutamente accarezzate dal “martinet”.

Mentre la mia ex insegnante frustava, io serravo e digrignavo i denti avvertendo l’orgasmo montare ed ormai prossimo all’esplosione.

Quando questi giunse, fu un susseguirsi di frementi scosse spossanti che mi percorsero dal capo ai piedi.

Inarcai, tesi, serrai e dischiusi il culo più volte, sino a spalancarlo oscenamente nel tentativo di ricevere sul bruno buchetto le frange brucianti dello strumento punitivo.

Mentre la signorina Michelle si accaniva sulle mie chiappe ormai tumefatte, avvertivo la sua voce che enumerava i colpi:

- …, trentotto…, trentanove…, quaranta!

Per qualche istante, ebbi la piacevolissima sensazione di essere tornata indietro nel tempo.

La mia severa castigatrice ha gettato il frustino sul letto e, sfinita, si è coricata accanto a me che singhiozzavo.

Mi ha accarezzato con tenerezza le natiche rosse e martoriate, infiammate dalle severe frustate sussurrandomi parole gentili.

Io, d’istinto, mi sono girata verso di lei ed ho spalancato le gambe.

In un silenzio tombale, ho avvertito la sua mano destra intrufolarsi fra le rime della mia fica fradicia e bollente.

Per la prima volta, avevo la vagina accarezzata dalle dita di una donna e questo mi procurava strane sensazioni, devo confessare, molto piacevoli.

Mi sono aperta ancora di più, oscenamente, quasi allo spasmo, affinché potesse solleticare la clitoride protesa in avanti ed affacciata fra le ninfe vermiglie.

Ho afferrato il “martinet”.

Lei ha capito subito.

- Mi ha fatto davvero molto male. Le ho detto.

- Ora ti calmerai. Mi ha risposto.

Poi, con un bel sorriso, mi ha passato più volte il manico del frustino fra la fica e le natiche, indugiando lungamente sul buco del culo che ostinatamente tentava di forzare.

Dopo aver umettato e lubrificato con gli umori raccolti nella mia fica il manico nero, con esso, mi ha penetrato posteriormente con decisione mentre io ho avuto un secondo, copioso e furibondo orgasmo indimenticabile.

Nel mio delirio, le chiedevo scusa per la rottura del prezioso vaso.

Cari amici, voi non ci crederete, ma Michelle mi ha fatto godere molto di più che non mio marito.

A presto, Simona.