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Elena II

 

Se vi ricordate, quando ho raccontato della mia prima sculacciata, mi domandavo se i vicini avessero sentito e cosa avessero pensato. Certo che avevano sentito e forse si erano anche divertiti: avranno pensato che la figlia di "quelli là" aveva avuto finalmente il fatto suo.

 

Non ho dubbi sul fatto che qualcuno si sia anche complimentato con la signora Franceschini per la sua severità; per conto mio, cominciai a girare con gli occhi bassi vergognandomi come una ladra.

 

Così è stato per tutti questi tre anni di sculacciate tremende, né posso dire che la signora aspettasse il mio ventunesimo compleanno per smettere di incendiarmi il sedere dato che continua ancora ed il ritmo è forse solo appena diminuito. La signora Marisa non si è mai neppure preoccupata di punirmi duramente anche se la distanza fra due sculacciate era minima e l'episodio che vi racconterò ve lo confermerà.

 

Accadde quando avevo diciannove anni e mezzo e non fu certo il primo del genere.

 

Un venerdì sera avevo avuto il permesso di uscire, fatto abbastanza eccezionale dato che il giorno dopo mi aspettava la scuola.

 

A quei tempi stavo con un ragazzo che frequentava l'Università e, pur avendo promesso di tornare entro una certa ora, mi accorsi che non ce l'avrei fatta. Eravamo in compagnia e sapete com'è quando si fa tardi: io dovevo essere molto nervosa, ma non potevo mica dire davanti a tutti che alla mia età sarei stata sculacciata se tardavo a tornare a casa! Cercai di convincere questo ragazzo a velocizzare le operazioni di rientro, ma anche lui non conosceva il mio "segreto" ed io avevo paura di sembrare troppo bambina a confessarglielo. Quando mi riaccompagnò, l'ora fissata era passata da un pezzo. Poi c'era una cosa che mi infastidiva ancora di più. Secondo la signora Franceschini, la punizione per ogni mia malefatta doveva essere immediata, ma in certi casi doveva per forza essere rimandata. Oltre una certa ora, infatti, non potevamo certo svegliare tutto il palazzo, i vicini questa volta non si sarebbero certo divertiti, né potevo illudermi di essere perdonata.

 

Facendo attenzione a non fare troppo rumore, aprii la porta di casa. La signora non mi aveva aspettato in piedi come faceva spesso, ma vidi subito la luce della sua camera accendersi e spegnersi appena varcai la soglia di casa.

 

Evidentemente aveva ben controllato l'orologio.

 

Andai di filato in camera mia e sul letto trovai un biglietto scritto di suo pugno: "Domani mattina facciamo i conti! Prima di uscire passa in camera mia!" Ecco fatto!

 

Quanto io odiassi le sculacciate lo potete immaginare, quindi immaginate anche quanto fosse odioso aspettare di prenderle una notte intera.

 

All'idea delle sculacciate, vi assicuro, non ci si abitua mai.

 

Mi spogliai tristemente e m’infilai sotto le coperte. Come sempre in questi casi non riuscivo a prendere sonno ed in quella particolare occasione ricordo di aver riconsiderato tutta la questione.

 

Era assurdo che una ragazza della mia età godesse di così poca libertà, assurdo anche che fossi punita in quel modo avvilente.

 

Certo, lo sapevo che quella era la pena prevista per un rientro in ritardo, non potevo nemmeno dire di non essere stata avvertita, ma era tremendo lo stesso. Piangevo di rabbia e sconforto, pensavo di scappare di casa, ma non avevo prospettive allettanti. Non so come avvenne, ma il sonno mi prese, sebbene molto tardi. Un sonno agitato, nervoso, che risentiva delle mie condizioni psicologiche. E anche breve. Mi svegliai molto presto e subito cominciò l'angosciosa attesa.

 

Sudavo e mi veniva il batticuore, mi accarezzavo anche le natiche, quelle povere natiche che di lì a poco avrebbero sopportato (si fa per dire) il bombardamento della signora Marisa.

 

Avrei voluto, per assurdo, andare a svegliarla e dirle: "Signora, sono qui, mi sculacci subito e sia finita". Ma non si poteva. Finalmente la signora si alzò ed andò in bagno. Era sempre lei la prima. Potete immaginarvi come mi sentivo. La lasciai tornare in camera sua, poi mi alzai ed andai a bussare alla porta. Era inutile lavarsi e vestirsi prima, tanto dovevo spogliarmi... Entrai.

 

"Elena, siamo impazzite? È quella l'ora di tornare a casa? Come eravamo rimaste d'accordo?".

 

Chinai il capo: "Ha ragione, signora, mi scusi! Ma non volevano mai rientrare e io..."

 

"E tu ne hai approfittato, come al solito... Era un po’ che non succedeva più, ma evidentemente tu hai pensato di farla franca ed invece no, stamattina andrai a scuola con il sedere in fiamme!"

 

"Signora, la prego..." biascicai, poco convinta.

 

"Elena, sai bene che è inutile fare storie. Vieni qui, subito!"

 

Sì, sapevo bene che era inutile fare storie!

 

Lei era già seduta sul letto e mi aspettava. Decisi di non irritarla oltre, tanto sapevo che non c'era niente da fare. M’avvicinai. Lei mi tirò giù i pantaloni del pigiama alle caviglie e subito dopo le mutandine scesero allo stesso livello. Poi, prendendomi per un braccio, mi fece girare e piegare sulle sue ginocchia nella solita mortificante posizione. Anche a quella non m’abituo mai!

 

"Elena, dammi il braccio!".

 

Tesi il braccio destro e lei me lo piegò dietro la schiena. Poi disse: "Adesso ti faccio passare la voglia di vagabondare tutta la notte! Ma quando imparerai a comportarti come una ragazza seria?" Subito dopo arrivarono le prime sculacciate. Le presi con rassegnazione, non feci il minimo sforzo per resistere, ma quando il dolore cominciò a sommarsi mi misi a piangere, quando divenne insopportabile, ad urlare. Era spaventoso che tutto questo fosse quasi diventato una routine. Ma anche ad accettarle, le sculacciate, non fanno certo meno male. Così cominciai a sgambettare come una cavallina nei pantaloni del pigiama, a dimenare il sedere di qua e di là, a scuoterlo con scatti improvvisi quasi volessi scrollarmi di dosso il bruciore, ad urlare sempre più forte. Lei aveva sempre detto che le dispiaceva suonarmele ed allora perché non smetteva quando mi sentiva strillare così? Invece mi prendeva anche in giro: "Piangi, piangi pure, non mi commuovi affatto! Lacrime di coccodrillo!"

 

Figuratevi io, che sentendola capivo che non aveva davvero intenzione di smetterla. E come mi sculacciava! Finalmente smise e mi obbligò a rialzarmi subito, tutta in lacrime: "Ora va a lavarti e vedi di non fare tardi almeno a scuola!"

 

Ero tutta dolorante, ma dovevo davvero sbrigarmi. Così mi risollevai le mutandine ed il pigiama e, tirando su col naso, mi chiusi in bagno. Feci la doccia e l'acqua che mi scorreva sul viso si mescolava con le mie lacrime. Un po’ di sollievo lo ottenevo solo indirizzando il getto tiepido sul mio povero sedere che era naturalmente bello rosso. Mi vestii ed uscii di corsa salutando appena la signora.

 

Arrivai giusto in tempo. Non era la prima volta che affrontavo la mattinata scolastica con una sculacciata sulle spalle (anzi un po’ più in basso...) e con gli occhi ancora lucidi. Fra le mie compagne avevo confidenza solo con quella del banco di fianco al mio, le altre magari sospettavano, ma non sapevano nulla di certo. Lei invece capì, ma non fece domande. Mi accomodai (per modo di dire) nel banco la cui sedia di legno mi pareva quel giorno particolarmente ruvida e cercai di concentrarmi sulle lezioni.

 

Arrivò così l'ora di matematica e grande fu la mia sorpresa quando mi sentii chiamare per l'interrogazione.

 

Ma come, ero stata interrogata due lezioni prima ed ero andata bene, perché adesso, di nuovo?

 

Naturalmente le ultime due lezioni non le avevo studiate.

 

Come un automa mi avvicinai alla cattedra, il sedere tornava a darmi fastidio, certo anche per associazione d’idee.

 

Provai a lottare, assalita dall'angoscia, cercai di ricordarmi qualche frase della professoressa, m’arrabattai in qualche modo, poi scese la nebbia più completa e scese anche un po’ sul registro, di fianco al mio nome.

 

Tornai al banco con le gambe che mi tremavano e chinai la testa fra le mani cominciando a piangere in silenzio.

 

Subito dopo, suonò la campanella dell'intervallo, le altre uscirono nel corridoio e io rimasi lì, com'ero.

 

La mia compagna di banco mi accarezzò i capelli: "Mi dispiace Elena, mi dispiace molto! Però anche tu, sai quello che rischi e ti fai fregare come una scema!"

 

Aveva davvero ragione. Ero sconvolta dall'idea che mi aspettasse una nuova punizione, nemmeno a pensarci che la signora Franceschini accettasse di rimandarla. Ricordavo altre occasioni simili, sebbene non frequenti, per fortuna, ed ero atterrita da quello che mi sarebbe sicuramente successo. Ma questa volta non volevo prenderle ancora! Come potevo fare? Avevo il cervello vuoto, come durante l'interrogazione. Passai quasi in trance le ore successive ed il ritorno a casa. Pensai, suonando il campanello, d’affrontare subito la questione. Ma non ce n'era neppure bisogno, infatti la signora appena vide l'espressione del mio viso disse: "Che succede? Cosa hai combinato? Hai la faccia strana. Hai qualcosa da dirmi?". Aveva già capito. Raccontai allora quello che era successo e la signora appena comprese esattamente mi interruppe: "Ma bene! Ma benissimo! Vedo che la signorina vuol farsi bocciare un'altra volta!"

 

"Ma, signora, m’aveva già interrogata due lezioni fa e..."

 

"E tu hai pensato bene di fare la furba vero? Ma ti è andata male! Accomodati in camera tua, signorina, che sistemiamo subito questa faccenda.

Non potei impallidire perché ero già pallida da un pezzo: "No, signora, non può picchiarmi ancora! Mi ha già sculacciata stamattina!".

 

La signora Marisa rispose acida: "Non è la prima volta che succede, mi pare..." "No, signora, la prego! Mi fanno ancora male le botte di prima!".

 

"Peggio per te!"

 

"Signora!"

 

Lei troncò ogni discussione prendendomi per un braccio e trascinandomi via con lei.

 

Mi tirava e tirava, a scrolloni.

 

Io facevo un po’ di resistenza, ma poco convinta: "No, la prego, signora, no! Non è giusto!", balbettavo.

 

Intanto ero entrata con lei nella mia camera e lei aveva già chiuso la porta.

 

Allora mi ribellai alla mia sorte: "No, no e poi no! Non può sculacciarmi! Ho quasi vent'anni, sono troppo grande per le sculacciate !"

 

"Ah, non posso? E invece vedrai che lo farò! Poi sai benissimo che fin quando vivrai in questa casa farai quello che ti dico io! Se le hai prese stamattina, le puoi anche prendere adesso no?"

 

"No, signora, non e giusto! Nessuna delle mie amiche le prende più ormai!"

 

"Si vede che hai amiche migliori di te!"

 

"Sono stufa di essere sculacciata per la più piccola cosa! Sono una donna, ormai!"

 

"Tu ti ricordi di essere una donna solo quando stai per prenderle. Vedi un po’ di ricordartelo sempre. Se non vuoi le sculacciate sai come devi comportarti!" "Signora, mi lasci andare, la prego!". "Nemmeno per sogno! Devi pagare e pagherai! Brutta scansafatiche che non sei altro! E piantala, altrimenti vado a prendere qualcosa per suonartele meglio!" Detto questo si sedette sul letto e mi rovesciò sulle sue ginocchia. Come mi rovesciò la gonna azzurra, io scoppiai a piangere dalla vergogna. "Piangi, piangi, che quando ti sposi ridi!", disse usando una delle sue frasi preferite, che io odiavo.

 

Mentre singhiozzavo, lei terminò di alzarmi la gonna e mi tirò giù collant e mutandine alle caviglie. Rieccomi quindi, dopo pochissimo tempo, in quella umiliante posizione, in lacrime, distrutta moralmente. Piegatomi il braccio destro dietro, la signora cominciò a sculacciarmi con la solita cadenza e forza. Battere un sedere sculacciato da poco è come riscaldare una minestra solo un poco raffreddatasi, ci vuole poco tempo per riportarla a cottura. Così accadde con me. Mi sembrava di non essermi mai alzata dalle ginocchia della signora, da quella mattina.

 

Il bruciore mi arrivava diritto al cervello e le mie urla salirono subito al cielo.

 

La signora mi rimproverava con durezza: "Fanno male gli sculaccioni vero? Peggio per te! Ho appena cominciato sai? Questo è l'unico sistema con ragazzacce come te! Sculacciate, sculacciate e ancora sculacciate! Vergogna!"

Non riuscivo a sopportare in alcun modo quel supplizio.

 

"Aaaah! Uaaaah! Baaastaaaaa! Come bruciaaaaa! Signoraaaaaa! La smettaaaaa! La pregoooo! La scongiurooooo! Studierò! Studierò sempreeeeee! Uaaaah Ohhhh! Ahiaaaaaa! Noooo! Nooooo! Mi brucia il sedereeee! Mi fa troppo maleeeee! Baaaastaaaa! Basta cosìììì! Mi lasci andareeeeee! Baaaastaaaa!".

 

Figuratevi, se mi ero dimenata quel mattino come mi contorcevo ora...

 

La signora aveva il suo bel daffare per tenermi ferma in posizione.

 

I calci nei collant avevano già prodotto un largo squarcio. Tentavo vanamente di liberarmi i piedi da collant e mutandine che mi bloccavano le gambe, inarcavo il sedere quanto più potevo per poi scrollarlo istericamente quando la sculacciata lo centrava in pieno. Le mie smorfie di dolore dovevano far paura, cercavo disperatamente di liberare il braccio destro per ripararmi dalla pioggia di colpi, ma era impresa disperata, il sinistro lo sfregavo e sbattevo sul letto senza un movimento preciso. Una sculacciata terribile e lo sarebbe stata anche senza la prima, figuratevi un po’... Improvvisamente la valanga di colpi si arrestò. La signora Marisa però non mi fece rialzare subito: "Allora, ti bastano? Ne vuoi ancora un po’?"

"Nooo, signoraaa, nooo!"

"Oggi studierai tutto il giorno?"

 

"Sìììì, sìììì! Lo giuro!"

"E cercherai di comportarti come una ragazza dovrebbe sempre fare?"

"Sìììì! Prometto"

 

"Speriamo!", concluse la signora e mi lasciò andare il braccio. Rimasi un po’ così a singhiozzare e lei mi lasciò fare. Mi portai lentamente la mano destra al sedere e sempre lentamente cercai di rialzarmi. Come mi bruciava il culetto! Con il suo aiuto mi ritrovai in piedi con la vista offuscata dalle lacrime. Mi infilai in qualche modo collant, mutandine e la gonna, ma prima intravvidi il mio povero sederino che aveva completamente cambiato colore ed appariva anche gonfio di botte. Mi grattai disperatamente le mutandine, mentre la squarcio del collant, bene in vista sotto le ginocchia mi ricordava la vergogna della mia situazione. Mi lasciai ricadere giù sul letto dove rimasi una mezz'oretta a lamentarmi pietosamente. Fu quando mi ricordai che due giorni dopo avevo l'interrogazione di scienze che mi alzai e mi misi a studiare, naturalmente in piedi. Non potevo pensare di essere ancora sculacciata a distanza di due giorni.