Eleonora
Mi chiamo Eleonora e sono una studentessa ventiquattrenne, piccola, fragile ed anche timida. In prossimità delle vacanze estive mi ero messa alla ricerca di un lavoretto temporaneo che mi permettesse di racimolare qualche soldino per un viaggio all’estero. Un tardo pomeriggio, tornando dalla facoltà, notai un cartello affisso alla vetrina della libreria sotto casa: cercavano una commessa per qualche ora il giorno.
Entrai nel negozio e chiesi ragguagli alla signora dietro al bancone; in seguito scoprii chiamarsi Carla. Mi spiegò che, conseguentemente ad una brutta caduta dalle scale, sua sorella che abitualmente si occupava anch’ella della libreria, era ricoverata all’ospedale e che lei necessitava, oltre che di un aiuto materiale nel negozio, anche di tempo per potersi assentare e recarsi in ortopedia a trovarla.
Insomma, aveva bisogno di qualcuno che le desse una mano ed io accettai.
Quella donna alta, forte, dalle robuste braccia era molto gentile; ben presto entrammo in sintonia e fra noi si instaurò una sincera amicizia.
Un giorno, in cui stavo redigendo l’inventario di alcuni vecchi libri, ne trovai una serie di una collezione il cui nome, se ben ricordo, apparteneva alle “Ortiche bianche”; i volumi erano scritti in lingua francese, avevano delle bellissime immagini e trattavano tutti di punizioni corporali. Incuriosita – non avevo mai visto niente di simile – mi posizionai dietro il bancone e mi misi immediatamente a leggerne uno. Assorta e completamente immersa dalla lettura, non mi accorsi neppure che la signorina Carla era sopraggiunta alle mie spalle e ben vedeva il genere di romanzo del quale mi stavo occupando.
- “Non hai nient’altro da fare che leggere quelle robe?” Mi sgridò.
Trasalii spaventata e non ebbi neppure il tempo per reagire; subito la signorina, con tono severissimo, aggiunse:
- “Aspetta, cara ragazza mia, ti insegnerò io a correggere le tue cattive abitudini… ti infliggerò la punizione necessaria!”
Ebbi appena il tempo di riporre il libro e mentre cercavo di giustificarmi, Carla mi prese per l’orecchio e, a strattoni, mi condusse nel retro bottega. Dopo essersi seduta comodamente su di una sedia, mi fece sdraiare di traverso sulle sue ginocchia in una posizione insolita ed umiliante. Ma non era finita. Sentii le sue mani sollevarmi la gonna e, senza la minima indecisione, avvertii anche le sue dita affusolate infilarsi sotto l’elastico degli slip. Con gesto rapido ed esperto mi tirò giù le mutandine mettendomi col culetto tutto nudo per aria. Mo costrinse a presentarle le natiche ben rese ed aperte! Non riuscivo a capire, era avvenuto tutto in un attimo ed ora ero li, muta, inerme, rossa per la vergogna e per l’umiliazione. Non avevo mai subito un tale affronto, né provata onta simile. Mentre in una frazione di secondo nella mia mente passavano queste considerazioni, la signorina Carla iniziò a sculacciarmi sonoramente, rigorosamente e vigorosamente. Al mio cervello, ora, provenivamo ben altri stimoli ed impulsi! Avvertivo le chiappe diventare rosse e bruciare come il fuoco; la mia sculacciatrice me le rosolava con calma ed io, anche se facevo di tutto per non piangere, cedetti come una ragazzina. Dopo qualche tempo – non saprei quantificarlo – le sculacciate cessarono. Mi fece alzare ed io, gonna alzata e mutandine alle caviglie, non riuscii a trattenermi dal frizionare, con entrambe le mani, le mie povere natiche in fiamme, rosse e tumefatte.
Mi sentivo ridicola e turbata; piena di vergogna ma per nulla arrabbiata. L’abilità con la quale Carla mi aveva sollevato la gonna e, soprattutto, la destrezza con la quale mi aveva abbassato le mutandine, nonché la competenza di cui aveva fornito notevole prova sculacciandomi, dimostravano che ero nelle mani di una vera esperta, non certo fra quelle d’una principiante. Ella era sicuramente già pronta a ricominciare.
La sera, sapendo che a casa ero sola, mi invitò a rimanere a cena da lei. Le sorelle abitavano un grazioso appartamento ubicato sopra la libreria e comunicante con essa tramite una scala interna.
Durante la cena mi informai sulle condizioni di salute della sorella, visto che nel pomeriggio, dopo l’umiliante e terribile sculacciata, la signorina Carla si era recata a visitarla in clinica.
Con un sorriso malizioso ed ironico, la signorina Carla mi rispose che la sorella stava molto meglio e che si era divertita un sacco quando lei le aveva raccontato quanto mi era capitato nel primo pomeriggio.
- “Quella sorniona rideva come una matta…, ti immaginava sulle mie ginocchia, con le gonne sollevate e le mutandine tirate giù…, sì…, con le chiappe all’aria! Alla tua età…!”
Protestando vivacemente, replicai:
- “Oh no, non avrebbe dovuto raccontarlo…, ma non si rende conto com’è imbarazzante per me? Sculacciata a ventiquattro anni…, sul sedere nudo poi…, che vergogna, che umiliazione…! No, non avrebbe dovuto.”
Nel sentire il tono della mia replica, la signorina Carla si arrabbiò molto. Aggrottando le sopracciglia mi interruppe bruscamente e, a bocca serrata, aggiunse:
- “Ti avverto, ragazzina, che io non scherzo…, non devi permetterti di rivolgerti a me con quel tono, hai capito? Non pensare di passarla liscia perché ogni volta che lo riterrò necessario – presente mia sorella o meno – ti sculaccerò sul sederino nudo come meriti, intesi? Da questa sera in poi, per ogni tuo errore di comportamento, negligenza o mancanza, riceverai una sonora sculacciata. Non sarò troppo severa…, tranquilla…, ma sarà sufficiente affinché ti restino i segni sul culetto!”
Abbassai il viso senza proferire parola alcuna mentre due grosse lacrime mi scendevano dagli occhi rigandomi le gote.
Mentre salivo le scale per rincasare, pensai che appena la sorella fosse rientrata dall’ospedale sarei stata certamente sculacciata – con mia somma vergogna – in sua presenza. Ero nello stesso tempo sconcertata poiché quell’idea, invece di disturbarmi, mi turbava ed eccitava.
Trascorsi la nottata ripensando alla sculacciata e, nel letto, più volte le mie mani scorsero sulla superficie ancora incandescente delle natiche indugiando spesso sulla fessura mediana che le separa e sull’orifizio che esse racchiudono e celano. Poi, spossata, caddi fra le braccia di Morfeo.
La settimana seguente, la sorella della signorina Carla fu dimessa dall’ospedale. Il giorno seguente, fui prontamente invitata a scendere da loro per fare conoscenza con la signorina Lucia; questo era, infatti, il nome della sorella.
Appena fui al suo cospetto rimasi esterrefatta: Lucia, senza alcuna ragione, si inventò una mia mancanza – disse alla sorella che le avevo mancato di rispetto – e chiese a Carla, senza mezzi termini, di punirmi adeguatamente.
- “Penso che una bella sculacciata sia più che opportuna”, sentenziò.
Fortunatamente, in quel preciso istante, avvertimmo il suono del campanello della libreria ed io tirai – per così dire – un respiro di sollievo. Immediatamente mi girai per scendere in negozio e servire il cliente ma fui bloccata dalla signorina Carla che mi disse:
- “Lo servo io! Tu faresti molto meglio a preparati…, sai cosa intendo, vero? Se quando torno non hai il culetto pronto le tue chiappe subiranno un trattamento molto doloroso!”
Rossa di vergogna ed umiliata nel profondo, mi sono girata con il viso verso il muro e, con goffaggine, ho iniziato a sollevare la gonna cercando di fermarne i lembi nella cintura che mi stringeva la vita; con molta esitazione e titubanza infilai poi le dita sotto l’elastico delle ridotte mutandine di cotone bianco. Sentivo sul mio culetto ancora velato dall’impalpabile indumento intimo, lo sguardo della signorina Lucia, penetrante, curioso ed indagatore.
Con un respiro profondo ho abbassato le mutandine a mezza coscia.
La signorina Lucia si è avvicinata, ha teso il suo braccio destro e mi ha assestato qualche sonora sculacciata a mano aperta sulle chiappe.
- “Piantala di fare la ragazzina…, sei ridicola! Girati…, ti ho detto di voltarti!”
Stavo per svenire quando sentii la signorina Carla che risaliva la scala; si sedette di fronte alla sorella e, mentre tamburellava il ginocchio con le dita, si rivolse a me dicendomi:
- “Vieni qui!”
Incespicando nelle mutandine – che intanto scesero alle caviglie – mi misi sdraiata sulle sue cosce dove lei mi strinse in vita con il braccio sinistro mentre passava e ripassava il palmo della mano destra su entrambe le natiche.
Dopo aver indugiato a lungo su tutta la superficie del culetto e qualche fortuita scivolata nella riga mediana, iniziò a sculacciarmi con colpi cadenzati, sonori, secchi e precisi. La sua mano mi sculacciava implacabile ed infaticabile. Quello che in realtà durò non più di una decina di minuti, mi sembrò un tempo infinito. Quando sentii strizzarmi entrambe le natiche con la mano, compresi che la punizione era terminata.
- “Lucia, credi che possa bastare?”, chiese la signorina Carla alla sorella che aveva osservato attentamente tutta la scena della sculacciata.
- “Oh, no, dalle una buona decina di colpi con questa”, rispose porgendole una bacchetta di legno flessibile e sottile che si era come materializzata dal nulla nelle sue mani.
Ricevetti sul sederino nudo ed indecentemente esposto una dozzina di colpi mentre la signorina Lucia li contava a voce alta.
Mentre mi dimenavo e dibattevo sulle ginocchia, entrambe le sorelle ponevano l’accento e descrivevano con dovizia di particolari, tutto quanto lasciavo vedere incurante ormai della decenza e della vergogna.
Come per tutte le cose, anche la sculacciata terminò. Finalmente.
Con cautela e prudenza mi massaggiai il sederino che bruciava in modo terribile mentre scesi in libreria per continuare il lavoro.
Alla chiusura del negozio la signorina Carla, con un bel sorriso, mi chiese:
- “Va meglio, ora? Bruciano ancora molto?”
- “Mi ha fatto male davvero”, risposi.
- “Ah, ragazza mia, sei una vera lagna…, non hai ancora capito che per ottenere l’effetto desiderato la punizione deve essere severa? Che la sculacciata deve bruciarti il culetto? Solo così ricorderai il malfatto e ci penserai due volte prima di ricadere nell’errore!”
Sono ormai trascorsi parecchi giorni da quell’episodio ed il prendere le mie sculacciate è diventata un’abitudine. Non passa giorno senza che la signorina Carla mi punisca: per un motivo o per l’altro. Sua sorella, invece, non provvede mai personalmente ai miei castighi corporali ma ne è la vera istigatrice. Rileva spesso che Carla è troppo indulgente e dovrebbe invece essere molto più severa nei miei confronti. Con ironia e malizia mi redarguisce di fronte alla sorella invitandola a tenermi “sotto più stretto controllo” ed a sculacciarmi immediatamente quando mi sorprende dedita a qualche lettura, come dicono loro, sconcia.
Non avrei mai pensato che queste due signorine, rispettate e benpensanti, avessero entrambe un così grande entusiasmo per la sculacciata; una strana passione davvero, quel morboso desiderio di sculacciare e castigare sul culetto nudo una ragazza della mia età come se fosse una ragazzina…, e spesso mi soffermavo a pensare come aveva fatto la signorina Carla ad acquisire una tecnica così perfezionata e raffinata nell’impartire e somministrare sculacciate del genere…, quante altre ragazze mi avevano preceduta…?
Eleonora