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Elena

 

La signora Marisa.

 

Esiste una cosa più terribile per una ragazza dell'essere sculacciata…

 

essere sculacciata davanti a qualcuno.

 

Infatti la presenza di una persona estranea è l'imbarazzo più pesante da sopportare.

Già è umiliante ritrovarsi maggiorenni con il sedere fuori per essere punite (oltre che veramente doloroso), figuriamoci quando qualcuno assiste, senza neppure pagare il biglietto, allo “spettacolino”.

 

Certo non è una cosa che capita molto spesso, per fortuna, ma ogni volta lascia un ricordo indelebile.

 

La signora Franceschini vi è ricorsa più che altro a seguito delle circostanze, ma sicuramente le piace fare la parte dell'educatrice severa ed esemplare. Io invece non ho mai assistito come spettatrice ad una scena di questo genere. Certo quest’ulteriore mortificazione psicologica rende più severa la punizione, si fanno certe figure...

 

Altre figure me le fa fare la signora Marisa quando, a mezze frasi (ma mica tanto) accenna a certi nostri “scambi d’idee” alle vicine o conoscenti, addirittura nei negozi.

 

Io cerco, ridacchiando, di fare passare queste cose come invenzioni, boutade, ma è dura, soprattutto con le vicine, come si può immaginare. Tutto poi si complica perché io arrossisco facilmente, figuratevi un po'... Naturalmente, solo sguardi femminili sono stati ammessi a godersi la vista d’Elena sculacciata: in genere amiche della signora ed un paio di mie compagne. Ricordo, una volta, lo stupore ed i vani tentavi di intercedere per me da parte di una conoscente della signora Franceschini quando mi vide, diciottenne, dibattermi sulle sue ginocchia a seguito di una frase un po' villana. Oppure quella volta che, stesa sul letto, mi sforzavo, io diciannovenne, di far credere alla figlia di una vicina, molto più giovane di me, che era una specie di scherzo, un gioco, e le strizzavo l'occhio, prima di ritrovarmelo poco dopo pieno di lacrime alla pari dell'altro.

 

Ma voglio ricordare soprattutto quando sono stata punita di fronte ad una mia compagna d’università, lo scorso anno, a vent’anni suonati.

 

Con questa ragazza, Elisabetta, avevo confidenza, lei era orfana e viveva in un pensionato di suore.

 

Una ragazza minuta, capelli neri a caschetto, molto intelligente.

 

Lei capiva bene certi sbalzi d’umore perché credo che le suore le avessero fatto provare, sia pure raramente, la vergogna di una punizione fisica, anche se lei non è mai stata chiara su questo punto.

 

Oggi che vado all'università, la vedo molto meno, mi piacerebbe però saperne di più, magari uno di questi giorni le telefono...

 

Spesso veniva a studiare da me, anche a pranzo, qualche volta.

 

La signora Franceschini la vedeva di buon occhio perché è ben educata e più studiosa di me, anche se bastava poco per la verità.

Io stavo sempre molto attenta a portarmi le amiche a casa (a parte che dovevo sempre chiedere prima il permesso) perché avevo il terrore che si presentassero certe situazioni; anzi, più di una volta avevo spostato un invito in extremis se tirava aria di sculacciate per il mio povero sederino. Anche se l'amica di turno non fosse stata ammessa alla presenza diretta, sai che soddisfazione essere sculacciata con qualcuno per casa.

 

Quel giorno tutto sembrava tranquillo ed Elisabetta doveva venire direttamente a casa mia dopo la scuola. Avremmo pranzato insieme, poi studiato e, se la signora Franceschini fosse uscita, anche sentito dei dischi e chiacchierato di ragazzi. Non c'erano in vista interrogazioni, né compiti in classe ed io ero bella rilassata. Non sapevo che la signora aveva scelto proprio quel giorno per andare a parlare con l'insegnante di matematica (del resto queste visite le faceva sempre a mia insaputa) e che l'insegnante non aveva certo potuto dire cose lusinghiere sul mio conto. In ogni caso a casa tutto sembrava scorrere particolarmente liscio, mangiammo tranquillamente, poi la signora, bevuto il caffè, cominciò a chiacchierare con Elisabetta e, piano, piano, spostò il discorso sulla sua vita dalle suore. Elisabetta aveva cominciato a rispondere ed io cercavo di sviare il discorso perché non mi piaceva, ma la signora Franceschini le domandò a bruciapelo: “Le suore non ti hanno mai punita, dico punita sul serio, quando ne combinavi qualcuna?” Elisabetta era arrossita imbarazzatissima ed aveva risposto farfugliando: “Bè, direi che... insomma... ma poi...”

 

La signora Franceschini la interruppe: “Si vede che sei una brava ragazza, che fai sempre giudizio, non come Elena. Sai, devo suonargliele spesso!”

 

Allora intervenni, rossa anch'io d'imbarazzo e rabbia: “Signora, ma che c'entra questo discorso adesso?”

 

“C'entra, cara, c'entra!” e raccontò della sua visita alla professoressa di matematica ed i giudizi sul mio conto che n’aveva ricevuto.

 

Io mi sentivo morire perché capivo che la mia sorte era segnata, cosa che capitava piuttosto spesso quando la signora andava a parlare con le mie insegnanti.

 

La signora Marisa concluse: “Vedi, Elisabetta, oggi Elena merita le sculacciate. Vedrai tu stessa come una ragazza di vent’anni può ridursi per la sua scarsa voglia di applicarsi nello studio. Andiamo di là!” aggiunse alzandosi.

 

Sbottai subito: "Signora, no! La prego, mi lasci stare! Adesso sto studiando di più, vero Elisabetta! Andrà molto meglio, vedrà!" La signora sorrise ironica: "Le solite scene! Le solite bugie! Che vergogna!". Elisabetta taceva, tutta rossa in viso.

 

La signora intanto mi aveva tirata fuori di dietro al tavolo: "No signora! La prego! La scongiuro! Le sculacciate no! Non davanti ad Elisabetta! No! La supplico! Facciamo stasera, eh? Mi lasci! Mi lasci!" La signora non mi badava, ma mi tirava a gran forza mentre io provavo a fare resistenza puntando i piedi, ma le sue forze erano troppo per me. La signora si rivolse alla mia amica: "Elisabetta, vieni, vieni! Seguici in camera!" Elisabetta, poveretta, intervenne: "Signora, la perdoni, lei si applica, io la vedo! Migliorerà, vedrà, l'aiuterò io! Non la sculacci!"

 

La signora rispose mentre controllava il mio dibattersi: "Sei una buon’amica, Elisabetta, ma Elena capisce solo questo linguaggio. Vieni con noi" Elisabetta ribatté: "No, signora, preferisco di no, preferisco rimanere qui".

 

Intanto io continuavo a urlare: "No! Non lo faccia! Non è giusto! Davanti ad Elisabetta, no!" La signora continuava a non prestarmi ascolto, ma si rivolse ad Elisabetta con freddezza: "Voglio che questa punizione serva anche a te. Vedi, stamattina la professoressa mi ha detto che voi due chiacchierate sempre durante le spiegazioni. Questo e male! Non costringermi, come sarebbe mio dovere, ad informare le suore..."

 

Elisabetta tacque inebetita, poi ad un altro invito della signora si mosse per seguirci. Adesso la capisco, ma allora ero disperata. Non le volevo male, odiavo solo la signora che si dimostrava così irremovibile, anche se tutto ciò rientrava nel suo concetto di "educazione". Fu così che arrivammo in camera, nella sua questa volta. Una volta entrate fui presa dalla paura e dallo sconforto, ma questo anziché aumentare le mie resistenze le bruciò di un colpo. Avevo le gambe come di gelatina ed un dolore nel petto fra lo stomaco ed il cuore come se mi avessero pugnalata.

 

Elisabetta taceva, in piedi, gli occhi bassi, mentre si svolgevano i preparativi. La signora si sedette sul letto e mi fece girare davanti a lei, le sue mani armeggiarono con i bottoni dei miei pantaloni mentre io guardavo a terra, incapace di osservare Elisabetta. Non riflettevo nemmeno che era meglio lei di un'altra, che lei già sapeva tutto e mi capiva. Come sentii i pantaloni slacciati cadere lungo le mie gambe, scoppiai in un pianto dirotto prendendomi il viso fra le mani. La signora commentò "Vedi, Elisabetta, Elena prima fa i guai, poi quando le cose si mettono male si mette a frignare. Prova a farglielo capire tu, se ci riesci, che ci deve pensare prima!" Io, nel sentire queste parole singhiozzavo ancora di più ed imploravo in modo appena comprensibile: "Signora! La prego! La prego! Non sono più una bambina! Signora! Mandi via Elisabetta! La prego, la mandi via!" Una violenta sculacciata sulle cosce, mi fece urlare. "Stai zitta! Stai almeno zitta! Adesso Elisabetta vedrà come si punisce una ragazza come te! A vent’anni, capisci? A vent’anni! Vergognati!"

 

La signora mi srotolò i collants lungo le gambe con molta calma, assieme alle mutandine e raccolse il tutto nei pantaloni all'altezza delle caviglie: Elisabetta non mi aveva mai vista nuda, prima. La signora mi tirò sulle sue ginocchia nella solita mortificante posizione, con il busto sul letto. Elisabetta era dietro di me e non potevo più vederla. Ma ero conscia, fin troppo conscia, che lei mi vedeva il sedere, che avrebbe visto fin troppo bene le mani della signora Franceschini colpirlo a tutto spiano ed i miei movimenti causati dal dolore. Ma cosa potevo farci? Proprio un bel nulla! Ecco un'altra cosa terribile, il senso di impotenza, il non potersi più difendere.

 

La signora già mi aveva girato il braccio dietro la schiena come spesso faceva e il crepitare continuo delle sculacciate cominciò a riempire la stanza. Io che già piangevo figuratevi come potevo sopportare quelle sberle tonanti che mi spolveravano il fondoschiena. La signora continuò a sfruttare la presenza di Elisabetta per umiliarmi ancora più a fondo: "La vedi, Elisabetta? La vedi? Adesso è pentita, troppo comodo! So che le faccio bruciare il sedere, ma è per il suo bene, e questa stupidina, a vent’anni, non lo capisce! T’immagini dove sarebbe ora se non la educassi così? E continua a farmi disperare!" Quelle parole mi ferivano profondamente nell'orgoglio mentre, le sculacciate brucianti, mi segnavano invece, le natiche.

 

Urlavo come se mi stesse scorticando (e poco ci mancava). I calci che tiravo diventavano buffe movenze a piedi uniti nel groviglio inestricabile che si era formato all'altezza dei miei piedi. Non ce la facevo più, il male mi faceva perfino dimenticare l'umiliazione del momento.

 

La signora ha sempre lasciato cadere la mano da molto in alto nello sculacciare e questo provoca un bruciore pazzesco. Poi, con tutta l'esperienza maturata sulle mie rotondità posteriori, sapeva benissimo come ottenere il massimo risultato senza farsi troppo male alla mano e ritardare l'affaticamento del suo braccio destro. L'allenamento, purtroppo, faceva il resto. Io eseguivo tutto il repertorio consueto della ragazza sculacciata, probabilmente comune a tutte ma inevitabile anche se del tutto inutile: "Basta! E’ terribile! No! uah! eh! Aha! No! Brucia! No! Aiuto! Aiuto! No! Basta! Pietà! Basta! Non così forte! Brucia! No!" Ma la signora usava anche le mie disperate invocazioni per svergognarmi con la mia amica "La senti, Elisabetta? La senti? E non si vergogna mica! Farsi sentire in tutto il palazzo!" E invece mi vergognavo, eccome, e non si poteva fare niente, tormentata com'ero dal dolore. La signora insistette a lungo e ricordo molto bene quella sculacciata perché il bruciore era talmente devastante che il mio corpo si tendeva spasmodicamente a scatti, di qua e di là, il mio sedere si muoveva incontrollabile in tutte le direzioni, le gambe si tendevano al limite dei crampi e quasi mi svitavo il collo nello scuoterlo furiosamente.

 

Le lenzuola erano umide delle mie lacrime. Quando mi fu concesso di rialzarmi, mi portai immediatamente le mani al sedere grattandolo e mi guardai fra le ciglia piene di lacrime, il sedere coperto dai segni delle cinque dita, tutto rosso, quasi violaceo. Mi precipitai così, fra le braccia di Elisabetta, che mi sostenne così, per giunta nuda dal sedere alle caviglie: "Ora potete andare a studiare!" concluse la signora Franceschini. "Elena hai cinque minuti di tempo per ricomporti altrimenti facciamo un bel bis!" Uscì dalla camera lasciandomi con Elisabetta che mi consolava a bassa voce. Mi rivestii, ma mi doleva tutto a camminare. Mi trascinai in camera mia con Elisabetta per studiare, con un gran cuscino sotto le natiche. Ogni tanto spuntavano le lacrime ed Elisabetta mi consolava dicendo: "Su! Passerà!" Disse anche "Ma questa signora è severa!" Certo che lo è!"

 

 

Giustamente? Voi che ne dite?