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Flavia

 

Ciao, mi chiamo Flavia ed ho compiuto ieri ventisei anni. Lavoro come commessa in un grande supermercato di una città del veneto. Desidero raccontarvi come, e perché, la settimana scorsa, sono stata punita come una ragazzina nell’ufficio della direttrice posto al primo piano dell’edificio nel quale lavoro.

 

In prossimità del mio compleanno, avevo deciso di farmi qualche regalino; così, durante il breve intervallo che ci è concesso per il pranzo, mi sono recata nel reparto profumeria. Il proverbio dice “l’occasione fa l’uomo ladro” e così avvenne. In mezzo a tutti quei costosi e lussuosi prodotti, griffati e ‘firmati’, asportai un paio di flaconi di profumo dallo scaffale e, anziché recarmi ad una cassa, li occultai con destrezza e rapidità nella borsetta.

 

Non ho mai fatto cose del genere e, sinceramente, non mi era passata per il cervello – sino allora – neppure l’idea che avrei potuto comportarmi in quella maniera o compiere un simile atto: non sono una ladra, anche se i fatti dimostrano il contrario!

 

Pensavo d’averla fatta franca, mentre tornavo rapidamente al mio reparto per riprendere il lavoro.

 

Stavo congratulandomi con me stessa, quando la voce dell’altoparlante scandì il mio cognome e nome; non vi badai ma l’annuncio fu ripetuto una seconda volta. Era indirizzato proprio alla mia persona: mi si invitava a raggiungere prontamente l’ufficio della direzione, al primo piano.

 

Presi l’ascensore ed in un baleno bussai alla porta.

 

Una segretaria mi aprì facendomi accomodare. Dopo un istante, si aprì la porta della direzione e la direttrice, una bella signora elegante, sulla cinquantina, mi invitò, con un gesto, ad accomodarmi all’interno.

 

Non perse tempo in preliminari e, dopo avermi informato che il sistema di sicurezza a circuito chiuso aveva evidenziato un mio furto, chiese cosa avevo da ribattere a mia discolpa. Dopo un momento d’esitazione, durante il quale pensai di negare fermamente ogni addebito, mi resi conto che, di fronte all’evidenza dei fatti non mi restava che confessare. Cercai solo di giustificarmi asserendo che avrei pagato i prodotti all’uscita.

 

La direttrice ascoltò impassibile, poi mi avvertì che il suo ufficio le imponeva di avvisare le forze dell’ordine.

 

La scongiurai di non farlo, di darmi un’altra possibilità

 

Forse vedendo il mio pallore, forse pensando alla mia disperazione, dopo qualche attimo d’esitazione, la signora, guardandomi fermamente negli occhi, aggiunse che, forse, avremmo potuto sistemare la faccenda in una diversa maniera.

 

La guardavo supplicante ed ero in trepidante attesa di conoscere quale fosse la sua richiesta.

 

In poche parole, ferma restando l’immediata resa dei prodotti asportati, la direttrice mi invitò a scegliere fra la polizia ed una punizione corporale impartita seduta stante.

 

Ero in piedi davanti a lei e la guardavo allibita.

 

- “Una bella sculacciata, Flavia.” Aggiunse.

 

- “Starà scherzando, spero”, replicai sbalordita; tutto mi sarei aspettata, infatti, tranne quella proposta.

 

- “Le sembro forse il tipo che scherza su questo genere di cose? E poi, non le sembra un momento poco opportuno?” Ribatté la direttrice.

 

Abbassai la testa e mille pensieri attraversarono in un baleno la mia mente sconvolta. Non volevo che questa storia si venisse a sapere in giro, che figura avrei fatto con i miei colleghi e cosa avrei raccontato ai miei? Non volevo neppure essere licenziata, avevo bisogno di quel lavoro! Nello stesso tempo, non accettavo il fatto di dover essere sculacciata da quella donna, da un’estranea poi ed alla mia età…! Avevo anche paura, sono delicata, non ero mai stata sculacciata e non conoscevo cosa volesse dire; ero in preda al panico reso ancora più angosciante dal fatto che la donna di fronte a me era nella attesa di una mia decisione ed incominciava a spazientirsi.

 

- “Allora, Flavia, vogliamo decidere?”

 

Con la mano destra alzò il ricevitore telefonico ed iniziò, guardandomi in viso, a comporre un numero telefonico. In quell’attimo, presi la decisione.

 

- “D’accordo, d’accordo, accetto la sculacciata”, mormorai in preda alla rassegnazione ed allo sconforto.

 

Impacciata e tremante rimasi immobile davanti a lei, nella attesa d’ordini. Lei si è avvicinata e, afferrandomi saldamente per un polso, mi ha più volte strattonato attirandomi vicino alla sua scrivania. Eseguivo tutto quanto mi era imposto, come inebetita; lei mi fece togliere il grembiule da commessa sotto al quale avevo nascosto i flaconi di profumo. Con uno strattone più forte, mi trovai stesa di traverso ed a pancia sotto, sulle sue ginocchia. La signora eseguiva tutte queste operazioni con estrema calma e lentezza rendendo la situazione ancora più imbarazzante di quanto potessi pensare. Mi ha fatto posizionare in modo che entrambe fossimo abbastanza comode poi, senza indugio, l’ho sentita armeggiare con la cintura che stringeva la mia gonna alla vita. Dopo averla allentata con qualche fatica, mi ha arrotolato la gonna tirandola verso la schiena dove l’ha fermata infilandola sotto la camicetta di cotone. Ho avvertito l’aria più fresca lungo le mie gambe e mi sono sentita morire di vergogna al pensiero di essere stesa bocconi, col culetto velato dalle sole mutandine, in quell’umiliante posizione – più adatta ad un’impertinente ragazzina che non ad una donna della mia età.

 

Fra me pensai, “coraggio, il peggio è passato”! Solo dopo qualche istante mi resi conto di avere detto una mastodontica stupidaggine!

 

La sentii sospirare ed armeggiare con l’elastico delle mie mutandine.

 

Che stava facendo?

Non aveva mica intenzione di abbassarmele?

 

Mentre il mio cervello formulava queste domande avvertii i suoi polpastrelli insinuarsi sicuramente sotto l’elastico ed abbassare l’indumento intimo sino a mezza coscia.

 

Mi misi a supplicarla come una mocciosa cercando di fare, per quanto mi fosse possibile, della resistenza passiva.

- “No, la prego…, la supplico…, la scongiuro, le mutandine no…, la prego, mi vergogno da morire…, non sono mai stata umiliata così…, me le tiri su… mi vergogno troppo!”

 

Parole inutili, poveri versi miei gettati al vento.

Ora mi trovavo distesa sul suo grembo a culo nudo!

Vi rendete conto?

 

A culo nudo!

 

Alla mia età trattata come una bambina capricciosa in procinto di prenderle sul culetto nudo!

Che onta e che vergogna.

Mentre mi teneva il braccio destro ben fermo dietro la schiena, con la sua mano rimasta libera mi ha prima accarezzato più volte le natiche poi, dalle carezze è passata ai palpeggiamenti veri e propri con conseguenti intrusioni in mezzo alle chiappe. Il mio solco mediano è stato accuratamente ispezionato mentre con le dita, che sembravano pinze dilatanti, mi spalancava oscenamente le chiappe in modo tale da esibirle impudicamente l’ano.

 

Avvertivo sulla mia più recondita intimità l’aria fresca dell’ufficio.

 

Era evidente che tutte queste operazioni le procuravano piacere e che il suo più grande divertimento era quello di farmi vergognare ed umiliare ritardando al parossismo il momento per soddisfare i suoi istinti sadici più crudeli.

 

Fremevo e tremavo impotente sotto le sue laide carezze.

 

Poi, all’improvviso, la sua mano cessò di titillarmi.

 

La prima sculacciata cadde violenta sulla chiappa sinistra. Lanciai un urlo di dolore, tanto era violenta. L’impronta rosata del palmo era certamente stampata sulla mia natica e, se ci fosse stato uno specchio, ne avrei certamente potuto distinguere le cinque dita!

 

Dopo qualche secondo, la natica destra seguì la sorte della gemella.

 

Ci fu un susseguirsi di colpi, lenti, cadenzati, inesorabili.

 

Quella donna non scherzava: mi stava sculacciando sul serio, per punirmi, per farmi male, per umiliarmi.

 

Era quasi insopportabile.

 

Ben presto l’intero culetto era in fiamme ed il bruciore più che intenso. Mi agitavo in tutti i sensi e più mi dibattevo più fioccavano severi sculaccioni che colpivano le parti più sensibili non trascurando l’entro coscia ed il solco mediano. Qualche sculacciata cadde, con mio grande dolore, direttamente sull’orifizio esposto.

 

Nei miei dibattimenti, infatti, incurante ormai della pudicizia, espandevo e dilatavo il culo in modo osceno per poi contrarlo e serrarlo allo spasmo: ballavo la celeberrima danza del culo.

 

Mi resi conto di piangere come da tempo non facevo; le lacrime sgorgavano copiose e rigavano le mie gote mentre il mio corpo sussultava per i singhiozzi. Piangevo sì, di dolore, ma soprattutto per la rabbia, l’umiliazione e la disperazione: sapevo che le piaceva enormemente impartirmi quella sonora e magistrale sculacciata sul culetto nudo! Come altrimenti spiegare i suoi sospiri ed il suo affanno? Non erano certamente dovuti alla fatica…!

 

Mentre mi contorcevo – mi si consenta l’espressione – quasi come un verme, sulle sue gambe, avvertivo il suo corpo fremere e, quasi, venire meno!

 

Sentii le sue sculacciate che si trasformavano quasi in carezze profonde e lascive e, la seconda parte della punizione fu molto più sopportabile; meno cocente, meno severa… più gaudente. Quando le sculacciate cessarono di fioccare sul mio provato posteriore, non mi vergogno a confessarlo, quasi mi dispiacque.

 

Ebbene, sì! Cominciavo a provare un certo piacere.

 

Mi sono più volte chiesta se, nel caso in cui la sculacciata fosse continuata, avrei potuto, forse, persino godere!

 

Questa, in breve, la mia avventura. C’è voluta tutta la costanza di Vinicio per farmela raccontare perché, all’inizio, mi vergognavo molto a parlare di queste cose.

 

Nei giorni successivi a quell’esperienza, ho più volte avuto occasione di ripensare a quell'imbarazzante situazione e mi sono resa conto che mi piacerebbe trovarmi nuovamente sulle ginocchia di una donna – forse anche su quelle di un uomo – con la gonna sollevata sulla schiena e le mutandine abbassate alle caviglie ed il culetto nudo all’aria…!

 

Sono curiosa di sapere se il lento ma progressivo arrossamento delle natiche, se le dita di una mano che indugiano nel profondo della mia intimità, se i polpastrelli indecenti che quasi mi penetrano analmente, se, tutto questo, potrebbe provocarmi ancora tutte quelle strane sensazioni provate sulle ginocchia della direttrice e se, intensificando l’umiliazione e la severità del castigo, riuscissi a godere senza neppure toccarmi.

 

Sono certa che quella donna abbia goduto durante la mia sculacciata… ne sono sicura!

 

Un’ultima cosa: dimenticavo di dirvi, per amore di cronaca, che la segretaria della direttrice aveva lasciato la porta dell’ufficio socchiusa e sicuramente aveva approfittato dell’occasione per assistere alla mia cocente sculacciata. Aveva potuto, con tutta tranquillità, godersi lo spettacolo che le offrivo involontariamente, esibendo mentre mi agitavo e dibattevo, oltre al culetto nudo, anche tutto il resto.

 

Devo confessare che quando penso all’imbarazzante situazione, questo fatto contribuisce notevolmente ad eccitarmi. Essere umiliata anche di fronte a terze persone rende tutto più interessante.

 

Oggi ho maturato l’idea che non sia poi così spiacevole essere sculacciata e desidererei tanto fare un’altra esperienza; certo, senza rubare in un grande magazzino…!

 

Non conosco nessuno cui rivolgermi ma sono certa che qualcuno dei vostri lettori potrebbe soddisfarmi. Vorrei tanto farmi sculacciare di nuovo!

 

 

Flavia