Background 26
Ho più ricordi che se avessi mille anni.[1]
Baudelaire
Lividi bluastri illuminati dai chiaroscuri dei neon, vecchi straccioni e schiamazzi di comitive per le vie del centro.. la notte non lasciava spazio ad altro, sempre uguale nelle sue pieghe, nei suoi angoli meno illuminati, dove ci si può nascondere dalle paure ma non fuggire per sempre, tanto alla fine ci afferrano e ci scuotono come una vergata alla schiena...
- ti prego tienimi...
Se ne stava distesa sulla pancia, come un feto, avvolta fra le sue grosse braccia, soffiando l’alito caldo e umido di un respiro affannoso come di chi ha corso a lungo o a sopportato un grosso peso non solo fisico sul suo petto, mentre come per tranquillizzarla, come si fa con i bambini che si risvegliano nella notte da un incubo, le arricciava con le dita i fragili capelli in deliziosi boccoli.
Nei suoi occhi, il riflesso dell’azzurro misto al grigio di quelle giornate piovose di provincia, la paura e la “scottatura” per aver accettato con troppa leggerezza un gioco più grande di lei solo per assecondare i suoi desideri, la sua voglia di fuggire, di estraniarsi anche per un solo istante da un libro di favole per bambini cattivi e capricciosi... i silenzi rotti da una veglia fatta di lunghi attimi rossi e caldi e d’ombre, di riflessi di luci nevrotiche sui tenui colori del legno della cassettiera...
...it’s a bit early in the midnight hour for me... to go through all the things that I want to be... I don’t believe in everything I see... Y’know I’m blind so why d’you disagree...[2]
...dalle radio delle macchine che fermavano sotto casa, da un fascio di luna polverosa che taglia obliquamente il perimetro della stanza filtrando dalla veneziana accostata... Anna riposava di un sonno fatto di paure, d’incubi ferruginosi e strappi di duro cuoio.
...so take me away cos I just don’t want to stay... cos all the lies you make me stay... are getting deeper every day... these are crazy days but they make me shine... time keeps rolling by...[3]
...tremava ancora sotto il lenzuolo di cotone che sentiva come un enorme peso la sua carne febbricitante, scossa a tratti da brividi freddi e sudori che niente avevano a che vedere con la calura estiva.
Con le mani raccolte sotto il cuscino riposava mentre lo sguardo fermo di lui, seduto nella poltrona vicina, la cercava di continuo, la scavava senza sosta, la penetrava ovunque, percorreva i coloriti sentieri di pelle segnata dalla sua mano ferma guidata da un amore forte e severo; una voragine pareva aprirsi su di loro, due figure immobili segnate nella carne e nell’anima fiduciose nell’aspettare l’alba come nuovo giorno che le avrebbe di nuovo riunite e rappacificate.
Non sentiva più lo strappo della cinghia sul suo sedere nemmeno il dolore fisico di per sé la scuoteva ancora, solo lo smarrimento, il sentirsi scossa e battuta da una forza rabbiosa che le era imposta senza scampo, forza che solo lei avrebbe potuto fermare in ogni momento e ciò le dava l’impressione che in realtà a condurre il gioco fosse lei.
Le piaceva sentirsi battuta come una cagna dispettosa e ricadere nello stesso sbaglio o mancanza quando ne sentiva il bisogno di quello che chiamava “amore forte”, forte ma sempre pieno d’attenzioni perché funzionasse, una perfetta messinscena affinché le coscienze di entrambi fossero falsamente giustificate a subire o imporre una situazione altrimenti imbarazzante o talvolta ridicola.
La sua vita di donna quarantenne era stata un susseguirsi di storie sentimentali mediocri, vissute nella piattezza più assoluta da parte di entrambi quasi come un rapporto di lavoro dove si preferisce non disturbare il superiore e lasciare che le cose vadano a modo loro fintanto che dura, poi arrivederci e grazie. Da sei mesi a questa parte però le cose erano cambiate, o meglio da quando aveva conosciuto lui, un uomo non più grande di lei ma incredibilmente più consumato dalla vita sia fisicamente, il suo volto segnato traspariva sofferenze di un passato non lontano, sia spiritualmente, il suo atteggiamento talvolta freddo e distaccato in situazioni tutt’altro che facili l’aveva lasciata senza parole.
Fin dal principio era stata attratta dal suo modo di fare, dai suoi gesti tranquilli e dalla sua voce mai fuori posto, vedeva in lui una figura più paterna che non un amante, un padre sempre attento alla sua bambina, paziente quanto basta ad insegnarle la vita, pronto a punirla quando fosse stata disobbediente... la faceva sentire un’adolescente in preda alle prime voglie di libertà e disordine, una stupida nata ieri e lei come se non bastasse piegava la testa come per acconsentire quasi convinta di meritare quelle sfuriate.
Nella stanza aveva sistemato un letto, un armadio e un cassettone che parevano usciti direttamente da un vecchio film della Hammer, pesanti com’erano, spigolosi, stuccati d’alloro e trifoglio di gusto barocco che ne aumentavano l’obsoleta vanità, i suoi libri sparsi ovunque, sboccavano dai ripiani dello scaffale d’acciaio posto in un angolo, vero pugno nello stomaco con il resto nella mobilia, uno in particolare sempre aperto sul comò....
...una cagna impaziente dietro i rocciosi massi,
lo sguardo corrucciato,
spiava il momento di ritogliere alla carcassa
il boccone lasciato.
Eppure, tu sarai simile a questa immonda cosa,
a quest’orribile infezione,
tu, stella dei miei occhi, nel mio mondo sole,
tu, angelo mio, passione!
....una candela di cera gialla sciolta fra le cicche di sigarette sparse un po’ ovunque, ogni dove aveva quell’aria dimessa, di trasporto quasi asettico, un polveroso senso dell’essere pervadeva quella stanza come le altre, quella cosa come un’altra, se gli ambienti riflettono la personalità di chi li arreda certo quello era lo specchio più crudo e scarno di lui.
* * * * *
Una doccia. Quello che ci voleva, era proprio una doccia. Tolse distrattamente gli stracci che aveva addosso gettandoli ai piedi del letto... un pantalone, un top, un foulard di seta... dei collant carne... sciolse lo chignon e andò verso la gabbia di plexiglas.
Acqua calda. Il vapore, un fumo bianco e impalpabile l’avvolgeva e immaginava di potersi nascondere fra quelle nuvolette, la valigia già pronta e il biglietto del treno l’aspettavano sul letto, mentre l’acqua linda si sporcava di un insolito rosso schiumoso che lento spariva fra le pieghe dello scarico....
Cara Alice,
sto per partire, prendo il primo treno, domani sarò lì da te. Ho bisogno del tuo aiuto! È successo! ...Dio me ne voglia, è stato più forte di me, ha vinto di nuovo! ...mi rendo conto solo adesso di quello che ho fatto, non capiresti nemmeno tu che sei mia sorella, non crederesti se ti dicessi tutto quello che ho passato in questi ultimi tempi per lui, solo per farlo felice perché credevo che la sua felicità fosse anche un po’ la mia... ancora non ci credo... ho annullato me stessa, il mio diritto a scegliere, a vivere... pensavo ne valesse la pena, pensavo di poter fermare il gioco quando avrei deciso di smettere ma lui me l’ha impedito ed io... io non ho resistito, ho perso la testa! ...sono diventata come lui! Peggio!
....l’ultima volta ieri... “Anna dov’è il mio rasoio?” “l’ho buttato, pensavo non ti servisse più” “come diavolo ti è venuto in mente di buttare il mio rasoio, eh? ...razza di stupida, era un regalo di un’amica...” “non lo sapevo, scusa” “scusa.... sai dire solo quello... non me ne faccio niente della tua scusa, vieni qua”... ed eccomi sulle sue ginocchia, con il cuore in gola, so già quello che succederà... inizia e per orgoglio mi trattengo dal lamentarmi, ma poi il dolore aumenta... la sua mano grossa mi palpa con rudezza, sfrega la gonna e la tira sui fianchi... non ho il coraggio di dire niente... “adesso vedremo se impari ad essere più rispettosa con le mie cose”... mentre lo dice colpisce con forza sempre maggiore il sedere che inizia a diventare rosso e caldissimo... Alice, nemmeno da bambina ho provato tanta umiliazione quando ero rimproverata da mamma... poi gioca con il bordo delle mutandine, copre, nasconde e scopre la pelle tenera del culetto... finché mi priva anche di esse con una lentezza esasperante... non c’è l’ho fatta, non stavolta... ho perso la ragione, ti prego di perdonarmi Alice...
....Anna confusa volteggiava sotto il miscelatore... mille goccioline impalpabili scendevano dapprima lentamente poi sempre più veloci dalla dolce collina del suo seno, gonfio e pieno di meraviglie, una cima con due vette scure e pronunciate come ciucci... uscì in fretta e si avvolse nell’accappatoio... strofinava con malcelato piacere la pelle segnata del suo bel culetto, le striature rosso rubino su quella pelle latte le piacevano in fondo... le piaceva toccarle e percorrerle con la punta dell’unghia incidendo il suo nome...
...Ma era tardi e doveva uscire... un ultimo sguardo a quello che lasciava, poco senz’altro, un corpo riverso sulla poltrona della stanza da letto, un bel vestito macchiato, un tappeto rovinato, gli occhi chiusi ed un bel visino così dolce, il trucco sfatto ed il rimmel che colava tutto... sì, il suo Padrone, così aveva voluto essere chiamata da lei Francesca...
Keith Donato
[1] Charles Baudelaire, "I fiori del male". “Una carogna”;1995, Edizioni Demetra, (pag. 65).
[2] …è abbastanza presto nelle ore notturne per me... andare oltre tutto ciò che voglio essere... non credo in ogni cosa che vedo... così so di essere cieco, non credi? [Oasis: “All Around the World”].
[3] ...così portami via perché non voglio più stare... con tutte le bugie mi fai rimanere...
sprofondo ogni giorno... sono giorni pazzi ma mi fanno felice... il tempo preso rotola via... [Oasis: “All Around the World”].