- 1912 -
Il convitto della signora Boschi era il più costoso e raffinato della città. L’esservi ammessa, con qualche raccomandazione, fu per me motivo di grande orgoglio. Per la prima volta nella mia vita mi fu permesso di indossare delle mutandine con lo spacco [che in quell’epoca, siamo nel 1912, (N.d.T.)] erano una prerogativa pressoché esclusiva delle persone adulte. Durante i primi due anni di collegio, tuttavia, non trovai nessuno che si prendesse la briga di aprire, in privato o pubblicamente, la fessura posteriore del mio indumento più intimo. Il convitto era diviso in due settori rigorosamente separati: uno, riservato alle allieve del primo biennio, l’altro, per quelle “grandi”. Quando vi entrai, all’età di sedici anni, fui inserita fra le giovani, alle quali era riservato un unico, gran dormitorio. La sorveglianza notturna era molto rigida e non c’era modo di dedicarsi, neppure con qualche amichetta compiacente, a tutti quei deliziosi giochi che possono avvenire sotto le lenzuola ed ai quali ero stata piacevolmente iniziata da una compagna, la figlia del nostro giardiniere, più vecchia di un paio d’anni. D’altro canto la disciplina, seppure fosse severa, non contemplava l’impiego di castighi corporali nei confronti delle ragazze irrispettose e/o negligenti, quindi, neppure in questo caso mi sarei trovata con la gonna alzata in vita e le mutandine bene aperte nella trepidante attesa della severa mano castigatrice; anche a queste cose, infatti, ero stata abituata dalla mia tutrice e dalla sua cameriera: a loro devo in buona parte la mia predilezione, nonché naturale predisposizione, a questo genere d’umiliazioni e castighi. Per farla breve e non tediarvi a lungo, posso semplicemente affermare che furono due lunghi anni noiosi e monotoni tranne per le sparute interruzioni dovute ai brevi ritorni alla casa della mia tutrice. In quei frangenti, non perdevo occasione per provocare gli interventi correttivi, meritati, della signora Rachele (la mia tutrice) e di Nella, la cameriera. Nella mia camera, dopo, attendevo trepidante l’arrivo di Carlotta, la figlia del giardiniere e, con ella, le sue carezze tenere e consolatorie.
Quando giunsi finalmente al compimento del diciottesimo anno, tutto, come per incanto, cambiò.
In collegio ero fiera e lusingata trovandomi in compagnia di parecchie ragazze della mia età, quasi tutte notevolmente carine. C’erano anche dei vantaggi pratici quali una camera singola invece del misero e collettivo dormitorio e, soprattutto, la quasi totale assenza di sorveglianza, almeno durante le ore notturne. Inoltre, mentre le frequentanti il primo biennio erano tenute ad una rigorosa osservanza nel vestire la divisa del collegio, noi avevamo una maggiore libertà rispetto l’uniforme, sia quella visibile, sia quella intima. Ad esempio, se alle ragazze dei primi due anni era concesso come massimo di ornare le proprie mutandine con un piccolo nastro di stoffa colorata, noi potevamo arricchirle con pizzi, merletti e trine che erano considerati, per quegli anni, il massimo dell’eleganza intima e della civetteria.
Così conobbi Agnese e Felicita. La prima era bionda, con due bellissimi occhi azzurri ed uno sguardo molto dolce ed apparentemente innocente mentre la seconda, anch’ella diciottenne, era tutta l’opposto: bruna, con gli occhi scuri, alta e slanciata con un portamento fiero ed autoritario che non mancava di incutere soggezione.
Una mattina, durante l’intervallo, dopo essere stata nella stanza da bagno per i miei bisogni fisiologici, stavo mettendomi a posto le mutandine con la gonna sollevata sino alla vita, quando la porta del bagno, che avevo dimenticato di chiudere a chiave, s’aprì di colpo. Erano Agnese e Felicita che, vedendomi in quella situazione, piena di vergogna ed imbarazzo, mi osservarono con attenzione prima di richiudere l’uscio ed andandosene ridendo fra loro. Quando uscii, le trovai ad attendermi nel corridoio:
“Come ti chiami?” mi chiesero.
“Elena…”
“Bene, Elena, lo sai che puoi proprio vantarti per le tue mutandine…?”
Mi sentii umiliata ed offesa nel mio amor proprio però, in effetti, le mie erano ancora quelle di semplice tela bianca, anche se aperte in mezzo alle gambe. Le due ragazze si guardarono con un sorriso d’intesa dopo di che Felicita sussurrò ad Agnese:
“Credo che dovremo occuparci di questa faccenda, così faremo la coppia con Lucia, la santarellina…”
Agnese annuì e senza aggiungere altro mi lasciarono sola a rimuginare sul significato delle loro parole. Conoscevo bene Luisa, una mia coetanea che dimostrava qualche anno in meno, timida e pudica. Rimasi a lungo interdetta a meditare su quello che le due amiche stessero complottando nei nostri confronti. Non ero preoccupata, tutt’altro, mi sentivo lusingata e fiera dell’attenzione che ero riuscita a suscitare in due signorine tanto graziose quanto emancipate.
Trascorse la giornata ed arrivò la sera. Ero appena rientrata nella mia camera e stavo per coricarmi quando sentii bussare alla porta. Agnese, facendomi segno di non fare chiasso, mi invitava a seguirla. Pochi istanti dopo, entravamo entrambe nella camera di Felicita dove già si trovava la timida e spaventata Lucia. Nella camera aleggiava un buon profumo dolce e penetrante, sul fornello ad alcol si trovava un pentolino d’acqua in ebollizione e, sul tavolo, erano disposte quatto tazze.
“Forza, ragazze, sedetevi, non volete prendere una tazza di tè con noi?” sussurrò Felicita.
“Grazie, certo” rispondemmo all’unisono Lucia ed io.
Ma nella camera si trovavano solo due sedie che erano occupate da Agnese e Felicita. Lucia ed io, imbarazzate, non ce la sentivamo di sederci sul letto di Felicita; vedendo la nostra titubanza, Agnese scoppiò a ridere:
“Che ragazze sciocche, non avete le sedie…, allora venite a sedervi qui, sulle nostre ginocchia”.
Di scatto andai a sedermi sulle ginocchia di Felicita mentre Lucia, con titubanza, s’accomodò su quelle d’Agnese.
Appena seduta, Felicita cominciò:
“Oh, come pesi, e che culetto caldo hai…, senti che bel paio di natiche” aggiunse, palpandomele attraverso il tessuto della gonna.
“Quanto a te, Lucia” proseguì Agnese, le tue non sono altrettanto sviluppate ma in compenso le sento belle sode e rotonde…”
“Adesso” continuò Felicita, “devo spiegarvi perché vi abbiamo convocato. Ecco, ormai siete anche voi fra le grandi, eppure abbiamo notato che indossate ancora, entrambe, la biancheria intima delle piccole. Tu, Elena, t’abbiamo visto stamani mentre facevi pipì e sappiamo perfettamente come sono fatte.., sono ridicole, ecco tutto; perfino una contadina si vergognerebbe d’indossarne un paio simili”.
“Quanto a te” proseguì Agnese rivolgendosi a Lucia, già tutta rossa nell’udire i propositi di Felicita nei miei confronti, “ieri sono riuscita a guardare anche alle tue mutandine. Ricordi? Eri accovacciata per allacciarti una scarpa ed io ero proprio di fronte a te…, tu avevi la gonna alzata sino alle ginocchia…, le gambe bene aperte, mi sono resa conto per forza di come fossero fatte le tue mutandine…”
Rossa come un peperone, Lucia si lasciò scappare un sommesso gemito.
“Non c’è nulla di male, erano mutandine aperte, questo sì, e anche bene aperte… tanto è vero che ne ho viste di cosine, lì… in mezzo alle tue cosce. Il che non toglie che anche le tue mutandine siano antiquate e ridicole, degne al massimo della nonna…”
“Ah, no! Non si può continuare in questa maniera…, siete le due più carine fra quelle del collegio e bisogna che impariate a sfruttare le vostre qualità… nascoste. Abbiamo deciso, Agnese ed io, che da ora in poi, anche voi indosserete delle mutandine degne delle vostre graziose persone. Come modello, ora vi mostriamo le nostre”.
Felicita mi fece alzare dalle sue ginocchia, si alzò ed aprì un cassetto dell'armadio: estrasse una serie di capi di biancheria intima che sparse sul letto in bella mostra.
“Ecco qua, guardate ed ammirate” proferì con un sorriso.
Lucia ed io, affascinate, esaminammo da vicino tutte quelle deliziose e vaporose mutandine, tutte in tessuti finissimi e di svariati colori. Timidamente le prendevamo in mano, toccandole e stringendole delicatamente fra le dita, ad una ad una, ammirandone gli orli di pizzo e palpandone il fondo di morbida seta.
“Belle vero? Ma così, in fondo non dicono molto…, indossate, invece sono molto più attraenti, non pensate? Dai, alzati Agnese...” ordinò Felicita.
Agnese obbedì. Felicita si chinò innanzi a lei, prese l’orlo della gonna della sua amica e lo sollevò insieme alla sottoveste, fino alla cintura. Agnese appariva avvolta da un delizioso paio di mutandine a calzoncino di colore rosa pallido, orlate di trine e merletti che lasciavano vedere, in trasparenza, la candida pelle delle sue cosce. Ce la fece rimirare di fronte poi, Felicita, la fece girate di schiena. Mentre Lucia, sempre più rossa, non sapeva quale contegno tenere, io fissai immediatamente lo sguardo su ciò che maggiormente m’interessava: il fondo delle mutandine, che appariva deliziosamente riempito e rigonfio, disegnando perfettamente le forme piene e rotonde delle due belle natiche, separate una dall’altra da una profonda e sinuosa riga mediana divisoria. Accarezzando con la mano il culetto velato di rosa, Felicita esclamò:
“Se sapeste com’è dolce da accarezzare… e com’è delizioso avvertire sulla pelle la carezza di questa seta così delicata e morbida…, ecco, guardate qui in mezzo, la fessura si lascia aprire facilmente…, guardate, prendo i due orli nascosti in mezzo alle natiche di Agnese e… ecco fatto, le mutandine sono spalancate…, sembra una rosa che sboccia…, ma tu, Lucia, perché fai quella faccia? Perché ti vergogni tanto? Non ti sto facendo vedere un bello spettacolo? Se c’è qualcuno qui che dovrebbe provare vergogna, se mai, sarebbe Agnese, e invece guardala, non sembra preoccuparsene molto… ed Elena, poi…, guarda la tua amica Elena come si diverte, è tutta occhi, vero Elena?”.
Con un sorriso invitante, Felicita m rivolse direttamente la parola chiedendo:
“Dunque, Elena, vedo che lo spettacolo è di tuo gusto, hai ragione sai, è talmente grazioso…, guarda ora che la fessura è completamente aperta, guarda com’è deliziosa la camicia un poco arricciata li in mezzo…, se poi sapessi com’è delizioso sollevare anche la camicia e contemplare il suo bel culetto nudo in quest’affascinante cornice di seta…, vuoi vederlo? Davvero? Allora guardalo, contemplalo pure con tutto comodo…, Agnese, tesoro, vuoi allargare un poco le tue natiche…, la camicia è rimasta intrappolata in mezzo…, da brava, ecco adesso possiamo sollevarla… allora, Elena, che ne dici?”
Ero entusiasta: ad una cinquantina di centimetri dal mio naso, in una favolosa cornice rosata, si presentava il più bel culetto che si possa immaginare, quasi altrettanto roseo quanto gli indumenti che lo circondavano. Dapprima immobili, le natiche di Agnese presero in breve tempo a dondolare lievemente e ritmicamente, aprendosi e serrandosi fino al momento in cui Felicita, carezzandole dolcemente e distribuendo su di loro qualche leggera sculacciata, riprese il suo discorso.
“Allora, hai osservato bene? Possiamo calare il sipario? Ecco fatto…”
Con cura ed attenzione introdusse nuovamente la camicia nella fessura delle mutandine, ne accostò i bordi e lasciò ricadere le sottane. Per tutta la durata della scena, Agnese aveva conservato il suo sorriso incantatore, mostrando tutto il piacere che aveva provato nell’esibirsi di fronte a noi. Quanto a Lucia, continuava a spalancare i suoi grandi e spauriti occhi.
“Questa piccola è davvero un’idiota” sussurrò fra i denti Felicita.
“Hai ragione” rincarò Agnese, “bisognerebbe sculacciarla”.
Questa frase mi fece drizzare le orecchie mentre il sangue scorreva più veloce ed il cuore accelerava il battito.
“Ne riparleremo fra poco” asserì Felicita “ora, per continuare l’istruzione delle nostre due amiche, tocca a te rendermi il servigio…”
Docilmente, Agnese, le sollevò il vestito ed io non seppi trattenere un’esclamazione d’ammirazione dal momento che Felicita vestiva un paio di mutandine di pizzo nero, adorabili. Sebbene fosse scura, la sua epidermide era bianchissima ed attraverso i merletti potevamo ammirare la pelle colore del latte e che il contrasto rendeva ancora più splendente. Il culo, meravigliosamente arrotondato, riempiva alla perfezione il prezioso indumento che, al contrario di quello indossato da Agnese, non era aperto nel mezzo.
“La camicia è uguale” asserì Felicita dopo una pausa in rigoroso silenzio, “fagliela vedere”.
Lieta dell’invito, Agnese non se lo fece ripetere e, immediatamente, le calò le mutandine sino a mezza coscia. In effetti, la camicia era dello stesso tessuto delle mutandine ma, essendo molto corta, raggiungeva a mala pena il fondo delle natiche.
“Coraggio Agnese…, la cornice” ordinò Felicita, ridendo.
Con mano leggiadra, Agnese sollevò la camicia e le natiche immacolate di Felicita vennero a deliziare i nostri sguardi. Non riuscii a trattenermi… e mi avvicinai inginocchiandomi dietro di lei e, uno dopo l’altro, baciai in modo delicato o due globi gemelli, lasciando scorrere le mie labbra su quell’epidermide fresca e vellutata.
“Ma guarda questa svergognata” disse ridendo Felicita, minacciandomi scherzosamente con il palmo della mano aperta, quasi volesse sculacciarmi.
Poi, continuò:
“Adesso, Agnese, per concludere la lezione e consentire alle nostre allieve il piacere del confronto, rimettiti accanto a me come ti trovavi pochi istanti orsono e come mi trovo io ora”.
Subito Agnese si rimboccò la gonna e la sottoveste, allargò lei stessa l’apertura delle mutandine e sollevò la camicia. Io, a quel punto, non avevo più occhi sufficienti per contemplare in una sola volta il meraviglioso spettacolo offerto dai due culetti incantevoli totalmente esposti: uno così rosa, nella sua cornice rosa; l’altro, così bianco fra i pizzi neri. Chinatami una seconda volta, deposi un bacio appassionato su ciascuna delle due natiche di Agnese. Che delizia, mi parve che la pelle di quel culetto fosse ancora più dolce e tenera di quella delle natiche di Felicita.
…..
“Senti, Elena…”
“Dimmi, Felicita…”
“Vieni a leggere la lettera che ho appena ricevuto…”
Prendo la busta che mi è tesa: una carta molto sottile, di colore violetto che emana un delicato profumo.
“Chi la manda?”
“Un’amica, un’ex allieva, se vuoi puoi leggerla…”
Iniziai a leggere:
Mia piccola Felicita, eccomi giunta al termine delle fatiche relative alla mia luna di miele. Ti assicuro che non è piacevole sposarsi con un uomo per il quale non si prova la minima attrazione, ma tant’è: Paolo è ricco sfondato e questa è l’unica cosa che conta. Con lui posso permettermi di realizzare tutti i miei sogni e, tanto per cominciare, sono andata ad abitare in una casa da sogno. No, non te la descrivo, perché voglio che sia tu stessa a visitarla. La prossima settimana, il mio caro marito è costretto ad assentarsi per alcuni giorni e domenica io sarò completamente sola, con la mia cameriera personale. Che ne diresti di venire a trascorrere da me il fine settimana? Puoi arrivare il sabato sera dato che la casa è dotata di un sacco di letti per gli ospiti. In fondo, anche se ci fosse solo il mio… che differenza farebbe…, allora siamo intese: guarda che questo non è un invito, è un ordine e tu sai bene cosa succede a chi si permette di disobbedirmi…!
Ti abbraccio forte, piccola mia
Tua grande
Liberata
P.S.: Se il credi opportuno, puoi portare con te la piccola Elena.
La lettura di questa postilla non mancò di stupirmi.
“Ma come, mi conosce?”
“Ma no, sciocca, sono io che le ho parlato di te nella mia corrispondenza”.
“Ah, e le hai detto… tutto?”
“Certo, non ho segreti per lei”.
“Oh, ma…”.
“Dai, non arrossire in questo modo, Liberata è la mia amica più… intima”.
“Intima…? Come me?”
“Esattamente…, solo che con lei è il contrario”.
“Come?”
“Ma sì, nei miei confronti, Liberata assume il ruolo che io ho nei tuoi confronti”.
“Vuoi…, vuoi dire che ti sculaccia?
“Qualche volta…, ah, credo proprio che dovrò preparare il mio culetto dopo tanto tempo”.
“Dunque è una ex allieva di questo collegio?”
“Infatti, lo ha lasciato un paio d’anni orsono e da allora l’ho rivista solo saltuariamente”.
“Quando era qui, ti sculacciava spesso?”
“Puoi ben dirlo, è lei che m’ha iniziata. Dovresti vederla, sai, è una ragazza… ma che dico, è una donna stupenda, un tipo prosperoso, capisci… e per quanto anch’io sia alta e robusta, fra le sue braccia mi sento tenera e fragile…”.
“Come succede a me, tra le tue…”.
“All’incirca…, allora, siamo d’accordo? Vieni anche tu con me?”
“Oh, certo, Felicita, con piacere”.
“Attenta però: ho l’impressione che da questa gita il tuo culetto ne sortirà piuttosto malconcio…”
“Vuoi dire che finirà per essere tutto rosso?”
“Molto più che rosso…”.
“Ma questa volta, non sarà solo il mio…” aggiunsi guardandola maliziosamente e con aria canzonatoria.
“Elena! Vieni immediatamente qui, sulle mie ginocchia, che t’insegno a prenderti gioco di me”.
Messa di traverso sulle cosce della mia compagna, le mutandine calate e la camicia ben sollevata, ricevo la mia quotidiana razione di brucianti, cocenti e sonanti sculacciate. Quando il mio culetto è riscaldato al punto giusto, Felicita mi rovescia sul materasso e s’inginocchia fra le mie gambe.
“Dimmi, ti ha iniziata anche a questo la tua Liberata?” Chiedo con voce roca mentre la sua testa si insinua sotto la mia gonna.
“Sì… e ti assicuro che era un’ottima insegnante” mormora Felicita, come risposta.
“Tu… oh, Felicita…, tu mi fai morire, eri… certamente la migliore… oh… delle sue allieve…”
…..
Il sabato pomeriggio, Felicita ed io saliamo sul treno. Entrambe indossiamo, sotto gli abiti, gli indumenti intimi più graziosi e maliziosi del nostro guardaroba e, soprattutto, mutandine fresche e profumate di lavanda che non chiedono di meglio che essere stropicciate e maltrattate. Poco più di un’ora di treno ci separa da Bergamo e durante il tragitto io non riesco a rimanere ferma e composta tanto è la smania di conoscere Liberata. Felicita, accortasi della mia irrequietezza, mi minaccia più volte ad alta voce:
“Guarda che se non la smetti ti darò una bella sculacciata”.
In un angolo dello scompartimento, una giovane donna, graziosa ed elegante, ascolta con interesse. Colgo, sulle sue labbra, un sorriso malizioso ed ho idea che non le spiacerebbe per niente vedere Felicita nell’atto di impartirmi una severa sculacciata. Io, del resto, provo un acuto senso di piacere all’idea di essere messa col culetto denudato, e sonoramente sculacciato, di fronte ad estranei. Ma no…, non voglio esaurirmi presto, desidero che le mie natiche arrivino fresche a casa di Liberata, per questo rimango tranquilla sino alla fine del viaggio, con evidente disappunto della passeggera. Ogni tanto le lancio uno sguardo come per dirle:
“Ti sarebbe piaciuto assistere alla mia umiliazione e vedere il mio culetto arrossire sotto le sculacciate, vero? Invece, no, curiosa… non vedrai proprio niente… e dire che anch’io morivo dalla voglia…”.
Finalmente, eccoci in quel di Bergamo.
Scende anche la nostra compagna di scompartimento.
Sotto la pensilina, sul marciapiede, noto una signora alta e dall’aspetto maestoso, vestita con grande eleganza che si incammina verso di noi. La mia ammirazione cresce a mano a mano che si avvicina: bionda, con due occhi verdi ed un fascino imperioso che quasi mi soggioga.
“Carissima Liberata!”
“Adorata Felicita!”
La mia compagna di viaggio si getta fra le braccia della ex allieva, la bacia r la stringe con appassionata foga. Guarda! Ancora la signora del treno! S’è fermata anch’ella accanto al nostro gruppo e sembra in attesa.
Liberata si dirige verso di lei.
“Valeria! Sei stata molto gentile a raggiungerci. Ecco, ti presento la mia amica Felicita della quale ti ho parlato tanto…, Felicita, questa è mia cugina Valeria”.
Strette di mano calorose poi, Felicita mi prende per mano e mi fa avanzare in mezzo al gruppo:
“Vi presento la mia piccola amica Elena, che ha tanto insistito per accompagnarmi…”.
“Ah, eccola dunque la ragazza di cui mi hai parlato nelle tue lettere…, è davvero un amore…, cara, vuoi darmi un bacio?”
“Oh, signora…”
“Qui non ci sono signore: chiamami Liberata e basta”.
“Sì, Liberata…”.
Mi attirò contro di sé e sentii il suo seno tondo e sodo premere sul mio, ancora acerbo. Tre baci schioccarono sonori ed impetuosi; sulla guancia destra, su quella sinistra ed il terzo, direttamente sulla bocca. Il contatto delle sue labbra con le mie mi fece vibrare e Liberata non tardò ad accorgersene.
“Questa piccola viziosa sta già godendo” asserì imperiosa.
Arrossii come una ragazzina colta in fallo ma già, tutte le attenzioni di Liberata erano per Felicita. Parlandosi strettamente come due innamorate, le vecchie compagne di collegio si avviarono tenendosi sotto braccio seguite a qualche passo da Valeria e me.
“Che strana coincidenza aver viaggiato assieme senza ancora conoscerci” osservò con un sorriso Valeria.
“Già…”.
“Sai che sono molto felice di fare la tua conoscenza così da vicino?”
“Anch’io, ne sono onorata…”.
“Pensare che poco fa, sul treno, mi ero quasi convinta che ti avrei conosciuta in un modo…, come ire…, speciale…”.
“Oh, allora hai sentito tutto?”
“Non sono mica sorda…, devo anche ammettere che mi è spiaciuto molto che la tua amica non abbia messo in opera la sua minaccia…”.
“Cattiva!” esclamai a bassa voce, fingendomi offesa.
“Ci sarà tutto il tempo per rimediare” continuò lei con un bel sorriso.
Non osai replicare e la guardai in silenzio negli occhi. Anche lei era davvero deliziosa pur non assomigliando alla cugina. Piccola, snella e chiara di capelli ma con occhi neri intensi che brillavano e, a tratti, si accendevano di passione. Lungo il tragitto mi raccontò di essere divorziata e di vivere con la sorella di dieci anni più giovane.
“Sai, ti assomiglia un po’, anche lei è vivace e disobbediente… ma io conosco il sistema per farla rigare diritto!”
Approfittando del fatto che mi trovavo un paio di passi davanti a lei, Valeria mi appioppò due sculacciate che risuonarono sul fondo prominente della mia gonna facendomi fare un salto per la sorpresa. Liberata e Felicita si girarono verso di noi e capirono immediatamente quanto fosse accaduto.
“Attenta al tuo culetto, Elena” gridarono all’unisono, scoppiando a ridere come due idiote.
Anche Valeria, rise divertita e poiché nulla è più contagioso di una risata collettiva, presto mi lasciai coinvolgere anch’io, spingendo in fuori il culetto e massaggiandomi le natiche a piene mani finsi di aver ricevuto una cocente sculacciata in piena regola anziché due semplici colpi attraverso il vestito.
Ridendo e scherzando, arrivammo finalmente alla casa di Liberata. Trovammo a riceverci una graziosa cameriera con tanto di cuffia e grembiulino che ci accompagnò alle nostre camere. Dopo un’accurata toilette, con relativo cambio d’abito e biancheria intima, scendemmo nel salone, per il pranzo. Nell’attimo in cui stavamo per fare ingresso nella sala, udimmo delle voci concitate provenire dalla cucina. Liberata, stava facendo una sfuriata delle sue alla giovane cameriera Corinne.
“Così, non sei neppure capace di montare la maionese?”
“Ma… signora…”.
“Bene, ti concedo ancora cinque minuti, dopo di che, se la salsa non sarà pronta, sai quello che ti succederà…”.
“Oh, signora…”.
“Siamo intese?”
“Sì, sì, va bene…”.
Liberata ci raggiunse in sala da pranzo.
“Quella stupida ragazza è proprio una buona a nulla…, il che, detto tra noi, non è poi un grande male… visto che mi fornisce in continuazione degli ottimi pretesti per punirla severamente e per calmarmi i nervi…, gradite un bicchiere di Porto, intanto che aspettiamo?”
Mentre sorseggiavamo in tutta tranquillità il buon vino, gli occhi di Liberata rimasero fissi sul quadrante dell’orologio a pendolo appeso alla parete e, allo scadere esatto dei cinque minuti, la sua voce risuonò imperiosa:
“Corinne!”
“Sì, signora…”
“Hai fatto?”
“No…, non ancora… signora…”
“Ah, no! Questo è troppo…, aspetta che vengo ad aiutarti!”
Con un balzo felino, Liberata si recò in cucina, seguita da tutte noi. Corinne, rossa in viso e tutta contrita, ci riceve asciugandosi gli occhi pieni di lacrime con un angolo del candido grembiule. Un’occhiata alla salsa maionese e tutti ci rendemmo conto che essa era “impazzita”.
“Vieni qui” ordinò perentoria, Liberata.
“Signora, la prego…, non è colpa mia…”.
“Vieni qui, ti ho detto”.
Corinne avanzò a piccoli passi… ciac, ciac, Liberata la schiaffeggiò sulle guance e la giovane cameriera scoppiò in un pianto dirotto.
“Come, come? Adesso ti metti anche a piangere?”, urlò Liberata, prendendola per le spalle e scuotendola energicamente, poi continuò:
“Sei proprio seccante e noiosa, allora, vuoi piangere a tutti i costi? Benissimo, ora ci penso io a farti strillare per qualche buon motivo!”
Così dicendo, con un resto rapido e deciso, costrinse Corinne a piegarsi in avanti, serrandola sotto il suo braccio sinistro.
“No, no, la prego, signora…”, urlò Corinne, dibattendosi.
In un lampo, la sua gonna e la relativa sottoveste furono rimboccate e, l’apertura delle sue mutandine, completamente spalancata. Ebbi a malapena il tempo di scorgere le sue natiche nude, contratte spasmodicamente per l’angoscia, la vergogna e l’umiliazione poi, una copiosa raffica di sculacciate si abbatté sui candidi globi gemelli. La sculacciata non durò a lungo, ma fu talmente vigorosa e severa che, in un minuto appena, il sederino di Corinne apparve di un delizioso colore simile al rosso vermiglio.
“Ecco fatto”, esclamò compiaciuta Liberata, facendola rialzare, “così, anche oggi, hai avuto la tua sculacciata! No, no, non abbassare la gonna, chi ti ha dato il permesso? Voglio appuntartela sulla schiena per farti ricordare meglio la lezione… ci servirai così, a tavola… con la fessura delle mutandine bene aperta…, aperta, hai capito bene, affinché tutte noi possiamo vedere bene il tuo culetto arrossato… e bada bene, non voglio che i bordi delle mutandine si chiudano, altrimenti si ricomincia…”.
Ritornammo in sala da pranzo e prendemmo posto attorno alla tavola bene apparecchiata.
“Corinne, puoi servire in tavola”, gridò Liberata alla cameriera rimasta in lacrime nella cucina.
Con gli occhi arrossati e tirando su col naso, Corinne portò in tavola la zuppiera; quando si voltò per tornare sui suoi passi, la vedemmo portare entrambe le mani sul culetto, spalancando quanto più possibile, la fenditura delle sue mutandine bianche che incorniciavano e contrastavano meravigliosamente col suo culetto scarlatto.
La cena fu deliziosa. Ad ogni portata si rinnovò l’incantevole spettacolo del culo di Corinne che, ad ogni passaggio, impallidiva sempre più, lasciando, al momento del dolce, una sola sfumatura di colore rosa intenso.
“Laverai domani i piatti, Corinne, adesso vai a dormire”, le ordinò Liberata con il solito tono imperioso di voce.
“Bene, signora…”.
“No, aspetta…, prima voglio darti una ripassata al culetto così conserverai il ricordo della punizione quando ti sarai coricata…”.
Corinne, era a portata di mano e Liberata l’afferrò per un braccio senza darle il tempo per protestare. La rovesciò sulle sue ginocchia e sul culetto, già pronto e nudo, riprese il delizioso concerto di sculacciate a palmo aperto. Dopo un paio di minuti, in preda a convulsi singhiozzi, la vergognosa Corinne ottenne il permesso di ritirarsi, mostrandoci per l’ultima volta il suo bel culo, ora ancora più rosso della volta precedente.
Quando la cameriera si ritirò, restammo tutte e quattro in silenzio, a lungo. Lo spettacolo delle due sculacciate di Corinne aveva creato nell’atmosfera una sorta di tensione elettrica, e sentii che qualcosa stava per accadere da un momento all’altro.
Infatti, all’improvviso, senza una parola né un gesto, Liberata si precipitò su Felicita strappandola letteralmente dalla sedia e costringendola sul pavimento, a quattro zampe. In un baleno, cavalcandola, le rialzò le gonne e, con un colpo secco e deciso, le strappò di dosso le mutandine e rimboccandole la camicia sul dorso. Il bellissimo culo nudo di Felicita apparve in tutto il suo splendore, illuminato a giorno dall’enorme lampadario, che diffondeva la sua vivida luce sull’epidermide serica e lattea delle natiche rotonde ed eburnee. Chinatasi in avanti ed accarezzando le chiappe voluttuose con le sue mani nervose, Liberata parlò a quel culo con voce appassionata:
“Oh, caro, eccoti qui, finalmente…, dopo tutto questo tempo posso nuovamente vederti, toccarti, accarezzarti, sentire il tuo profumo…, sei ancora più bello di quanto ti ricordassi, sai? Così rotondo…, fresco…, morbido… così vivo. Brava Felicita, tendilo bene, fallo uscire più che puoi, mostrami fino in fondo la tua bella fessura…, guardate, guardate ragazze. Mettetevi qui in ginocchio per ammirarlo meglio e più da vicino…, che ne dite? Non è forse una meraviglia questo culetto tutto nudo? Aspettate, adesso gli apro ancora meglio le natiche, così, con le mie mani, ah…, eccolo esposto completamente… ora ogni cosa è in bella mostra, da cima a fondo… ah, io divento pazza, guardatelo come freme e palpita per il piacere che prova nel mettersi in mostra, questo piccolo svergognato…, lo adoro…, ah Felicita, ora lo agiti apposta, per farmi eccitare ancor di più ed io sento sotto di me, fra le mie cosce, il tuo corpo che ondeggia e sussulta…, non ce la faccio più… non resisto… ho prolungato il più possibile il mio piacere ma ora basta, voglio sculacciarti…, devo sculacciarti! Sono settimane che attendo questo momento, sognando la superba sculacciata che ti ho riservato per oggi. Sono settimane che provo uno strano formicolio acuto sui palmi delle mani, nella snervante attesa dell’impatto con le tue calde rotondità, delle tue natiche…, anche le mie orecchie si sono riempite col suono immaginario delle sculacciate sul tuo culo nudo…, ecco, ora il mio sogno sta per realizzarsi, il culo dei miei sogni è qui, davanti a me, sotto di me, a contatto diretto delle mie mani, offerto alla mia passione in tutto il suo impudico splendore…, ora te lo accarezzerò, lo pizzicherò. Lo bacio, lo mordo e…, e adesso… adesso te lo sculaccio, sculaccio, sculaccio, sculaccio. Le senti, mia adorata le sculacciate? Le mie sculacciate? Sono abbastanza secche per i tuoi gusti? Non ancora…dici? Ma prendi, allora, questa… e quest’altra e ancora…, lo senti ora come suona bene la mia mano sul tuo culetto impertinente? Lo senti bruciare come si deve, il tuo sederino? Guardate, guardate care amiche, come la so sculacciare bene questa mocciosa, guardate come sono già rosse le sue belle chiappe, toccate, toccate pure, sentite come sono calde? Non mi stancherei mai di sculacciare un culo come questo, che si agita… si dimena… sobbalza e si contorce come un’anguilla…! Insomma, vuoi deciderti a stare ferma, svergognata che non sei altro? No? Ah…, ho capito quello che vuoi…, ecco, fammi passare la mano sinistra sotto di te… così va meglio, vero? Ti piace così? Sì? Allora, lasciati andare, sciogliti, abbandonati completamente, così…io continuo a sculacciarti…e…, e tu godi, godi…”.
Esausta, Felicita si lasciò cadere bocconi sul tappeto e trascinò seco la sua cavallerizza. Con le gambe in aria ed i vestiti gradevolmente scomposti, si rotolarono sul pavimento, con i corpi avvinghiati e scossi dagli ultimi spasmi nervosi.
Inutile dire che questo spettacolo mi mise in uno stato di eccitazione, quasi frenetica. Ci alzammo, Valeria ed io, e la giovane donna mi prese a sedere sulle sue ginocchia, abbracciandomi e baciandomi teneramente. Anche Felicita e Liberata si rialzarono e ci guardarono in silenzio con un sorriso carico di attese.
“Dimmi, Felicita, se non sbaglio la piccola Elena che tengo sulle mie ginocchia è stata piuttosto disobbediente sul treno, vero?” chiese Valeria.
“Ah, sì!”
“Se non ricordo male, mi pare anche che tu le abbia promesso una buona sculacciata…”.
“Infatti…”.
“Bene, credo sia arrivato il momento di impartirle il meritato castigo!”
Simulando l’aria da collegiale impaurita, mi abbandonai completamente fra le mani di Valeria. Sebbene la sua apparenza sia fragile, mi sento sollevare come una piuma e deporre nella stessa posizione in cui si trovava Felicita qualche attimo prima, a quattro zampe, ma sul comodo divano.
La messa in scena è deliziosa davvero. Lei è là, in piedi accanto a me, mentre Liberata e Felicita si avvicinano, a loro volta, per assaporare meglio lo spettacolo.
“Ecco qua, mia cara monella, però, invece di appoggiarti sulle mani, appoggiati sui gomiti…, così, ecco, da brava… in questo modo il tuo culetto è molto meglio esposto…, tieniti bene sulle ginocchia… ecco, ora allarga leggermente le gambe, ancora un poco, ah…, così è perfetto. Vedi, il fatto è che quando scopro un sedere come questo, adoro vederlo apparire in tutta la sua pienezza ed il suo splendore…, soprattutto quando si tratta di un culetto che non conosco ancora, come il tuo, che deve essere tremendamente grazioso…ah, sì, è talmente adorabile il culetto di una ragazzina della tua età, proprio come quello di Liberata quando l’ho sculacciata la prima volta…”.
“Oh, come? Lei ha sculacciato Liberata? Lei, così piccola e minuta e Liberata così grande e robusta?”
“Beh, che c’è di strano? In queste cose non è la forza fisica che conta…, è, come dire, la forza morale, il sentirsi dominatrici sino al midollo, ed io, cara Elena, lo sono, capisci Elena, sono una vera, autentica domina. Liberata, forse, lo è altrettanto nei confronti di Felicita, o della domestica, ma nei miei confronti è ancora la stessa ragazzina di tanti anni or sono, ed io la sculaccio ancora come una volta, come e quando mi pare. Vero, Liberata?”
Con la coda dell’occhio vidi la padrona di casa arrossire come una scolaretta e, dall’alto del suo metro e settantacinque centimetri, chinare il capo e sussurrare un timido “Sì”.
Felicita, sembrava attonita ed io non ero da meno: l’idea di assistere, magari nella stessa serata, alla sculacciata del superbo ed abbondante posteriore che Liberata ostentava attraverso l’abito da sera attillato, mi parve così frizzante da farmi dimenticare, per qualche istante, la situazione e la posizione in cui, io stessa, mi trovavo.
Le mani di Valeria mi richiamarono alla realtà quando, con gesti lenti e studiati, iniziarono il progressivo denudamento del mio culo.
“Come sono graziose queste mutandine e come deve starci bene li dentro il tuo paffuto culetto…, ecco qua, ora lo facciamo uscire un pochino attraverso la fessura mediana… eccolo! Guardate, ecco che compare tutto nudo…ma, che seccatura…, la fenditura di queste mutandine è troppo stretta e non riesco a vederne a sufficienza…, aspetta, ora le sfiliamo del tutto così sarà molto meglio: anche tu lo preferisci, vero?” Esclamò con ammirazione, Valeria.
Le mie mutandine, scivolarono lungo le natiche e si arrestarono intorno alle ginocchia.
“Guardate com’è maliziosa questa camiciola che cerca ancora, pudicamente, di nascondere il culetto sposandone alla perfezione le forme! Voilà, eccola sollevata. Vediamo un po’…, sì, questa volta è perfetto, non trovate amiche mie? Guardate queste natiche tese e sode, esposte alla luce… e questo solco divisorio, questa fessura mediana dritta, profonda e socchiusa, che lascia intravedere nel mezzo il suo occhiolino nascosto… e più in basso…, oh, è delizioso questo contrasto di rosa e di bruno… e com’è dolce da toccarsi, tutto… aspettate, ora voglio baciarlo tutto quanto questo amore di culetto, qui…, qui… e qui, sì, anche qui sul suo minuscolo forellino profumato… oh, non riesco ad arrivarci, Liberata, Felicita, per cortesia, tenetemi bene aperte con le mani queste natiche sfacciate… brave, così, ora riesco a raggiungerlo sporgendo in fuori le labbra…, com’è tenero, ah com’è delicato… ahi, Felicita, Liberata! Chi vi ha autorizzato a lasciare di colpo le natiche bene aperte di Elena? M’avete schiacciato il naso e le labbra nel mezzo… ah, più tardi ve la farò pagare cara e salata! Ora, però, occupiamoci di questo impertinente culo, ora che abbiamo fatto conoscenza è giunto il momento di sculacciarlo come si deve. Ora, cara Elena, lasciati serrare la vita dal mio braccio in modo tale io possa avvertire bene i tuoi movimenti durante la punizione… no, lascia o gomiti appoggiati sul divano mentre ti sollevo… sì, da brava, così è perfetto. Ora sono solo i gomiti e la punta dei tuoi piedi ad appoggiare sul divano ed il tuo bel culetto è completamente teso ed offerto al meritato castigo. Io, adoro sculacciare un sedere che si presenta in questo modo”.
La sua piccola mano nervosa ed affusolata iniziò a sculacciarmi con inattesa severità ed io mi contorsi sotto il suo braccio, gemendo e lanciando degli acuti strilli.
“Ma come, stai già piangendo? Per una piccola sculacciata da nulla…”.
“Brucia, brucia troppo…”.
“Ah ti brucia? Piccola monella insolente, sentirai, tra poco, che fiamme. Voglio cuocertelo a puntino questo disobbediente sederino!” Gridò Valeria, intensificando il ritmo e la cadenza delle sculacciate.
La durezza del suo linguaggio e la severità della sculacciata, formarono uno stridente contrasto con la dolcezza delle parole e dei propositi formulati durante, e subito dopo, il denudamento del mio posteriore. La sua mano era veramente terribile: invece di passare alternativamente da una natica all’altra, insisteva, volutamente, sul medesimo bersaglio con rabbia, impartendo prolungate sequenze di venti, trenta sculacciate consecutive che mi procuravano un intollerabile bruciore. Dibattendomi come un’ossessa, lanciai urla stridenti che non fecero che accrescere la parossistica furia della sculacciatrice. La minuta signora elegante, dall’aria fragile, era scomparsa, sostituita da un’autentica megera che picchiava all’impazzata sul mio povero culetto, vomitando, al mio indirizzo, ogni sorta di ingiurie e volgarità.
“Sgualdrina… puttana…, prendi, prendile sul culo, sì, sul culo nudo che mi offri, che spalanchi…, brutta viziosa che non sei altro…dai, Liberata, portami il frustino, voglio togliere la pelle a questo impertinente sederino… voglio vederlo rosso fuoco…”.
Per le mie indifese natiche tumefatte, non ci fu tregua alcuna. Senza soluzione di continuità, senza la minima sospensione o pausa. Valeria, passava dalla sculacciata manuale a quella con il frustino che le era stato lestamente offerto da Liberata. Le lingue di cuoio che costituiscono il micidiale strumento punitivo, mi accarezzano furiosamente insinuandosi fra le chiappe e le cosce; mi penetrano ripetutamente nel solco profondo e spalancato, mordendomi nell’intimità più recondita. Il dolore è insopportabile e sono costretta ad urlare a perdifiato mentre la voce sarcastica di Valeria, ora più calma e morbida, commenta con enfasi il suo operato:
“Fantastico, guardate come si agita, come dimena il culetto…, il suo bel culetto nudo, il bel culo nudo rosso fuoco… ci siamo quasi, vedete? Sta per sanguinare…”.
No. No…, non voglio… come è cattiva, crudele…, Felicita, aiutami…, Liberata, salvami…, penso fra me ben sapendo che Valeria conosce esattamente i limiti del gioco.
Uno…, due…, tre sculacciate impartite in rapida sequenza colpiscono la parte più sensibile e delicata del mio corpo offerto…, con un balzo felino riesco a divincolarmi, saltando giù dal divano e rotolando sul pavimento con le mutandine arrotolate alle caviglie, sino a rifugiarmi sotto ad un tavolo.
Placata, Valeria si asciuga con il dorso della mano sinistra la fronte imperlata di sudore, lasciando cadere il frustino sulla poltrona. Dopo pochi istanti, come se nulla fosse accaduto, Valeria ha ripreso la sua aria naturale e tranquilla.
Con voce affettuosa e cordiale mi sussurra:
“Povera la mia piccolina, ti ho fatto molto male? Ti prego, perdonami…”.
Uscendo adagio dal mio nascondiglio, le rispondo ancora in lacrime con un semplice: “Sì…”.
Mi attira verso di lei, baciandomi ed abbracciandomi con molta tenerezza.
“Vediamo che disastro ho combinato…”, mi sussurra asciugandomi gli occhi con le sue labbra. Poi, mi fa sdraiare bocconi sul divano.
“Come è rosso il tuo culetto…, sentissi come brucia, solo a sfiorarlo emana un calore…, Liberata, portami per cortesia un poco d’acqua…, dobbiamo lenire questo bruciore…”.
Con gestualità squisita e delicata, inumidisce tutta la superficie del mio povero culetto, rosso e tumefatto e l’asciuga con il tessuto impalpabile delle mie stesse mutandine.
“Fortunatamente non sono arrivata a fartelo sanguinare… c’è mancato poco, sai? Coraggio, adesso ci penso io a consolarti.”
Piegandosi sul mio culetto, lo bacia affettuosamente… sento le sue labbra morbide, calde e carnose percorre tutta la superficie rovente delle mie natiche con un lunghissimo ed estenuante bacio voluttuoso; dopo essersi ripetutamente e lungamente spostata da un’estremità all’altra del mio sederino, la bocca di Valeria si incolla alla parte alta e mediana del culo: da qui, scivola lentamente in giù, verso la fessura…, fino in fondo…, ancora più in fondo… in modo divino.
Dopo qualche istante, riprendo posto sulle ginocchia di Valeria che mi coccola e mi vezzeggia.
“Lo sai, Elena, che puoi ritenerti fortunata? Se fossi stata io, al posto di Valeria non avrei esitato a completare l’opera come promesso. Se poi, mi fossi scappata dalle mani, come hai fatto con lei, stai certa che ti avrei ripresa, sculacciata di nuovo con la mano ed il frustino fino a striarti il culetto di rosso vivo” mi disse severa, Liberata.
“Non darle retta, tesoro”, mi sussurrò Valeria mordendomi sul collo come un vampiro, “la sua è tutta invidia…, aspetta, ho un’idea, per punirla ed umiliarla come si deve, adesso sarai tu, Elena, a sculacciarla, tenendola sulle tue ginocchia come una ragazzina mocciosa ed impertinente!”
Gli occhi di Liberata si illuminarono di un piacere perverso e, io stessa, mi sentii pervasa da una strana sensazione e quasi sconvolta all’idea di sculacciare con la mia mano, quella bella signora così fiera e, allo stesso tempo, impotente. Proprio io…, appena diciottenne!
Anche Felicita apparve tutta eccitata all’idea di assistere alla sculacciata umiliante della sua amica per mia mano. Obbediente e sottomessa, Liberata si avvicinò e spontaneamente chinò in avanti il suo bel corpicino, stendendosi a pancia sotto sulle mie cosce, come un’autentica monella che sta per ricevere la giusta sculacciata. Inutile dire che la mia emozione aveva raggiunto il parossismo. Davanti a me, proprio sotto i miei occhi, il superbo culetto gonfiava in modo meraviglioso il fondo dell’abito, ondeggiando sinuosamente come a volersi meglio offrire ai miei desideri. Ero così eccitata che quasi non osavo toccarlo, limitandomi a sfiorare la gonna con la punta delle dita ed a divorare lo spettacolo con gli occhi spalancati.
“Allora, Elena, cosa aspetti a metterla a culo nudo?”, esclamò interrogativamente Valeria.
Timidamente, mi decisi ed appoggiai saldamente la mia mano destra sulla morbida ed arrotondata sporgenza. Delicatamente, accentuai la pressione esercitata con le mie dita su quella trepidante carnosità abbandonandomi, attraverso il tessuto della gonna, ad una completa manipolazione delle compatte natiche che avvertivo sode e frementi. In un attimo, in preda ad un’improvvisa impazienza, rimboccai con gesti decisi la gonna di Liberata e presi d’assalto le raffinate mutandine. Erano aperte, bene aperte…, ma io volevo avere tutto il suo culo a mia completa disposizione…, procedetti quindi, sbottonando il frivolo indumento, al denudamento completo del sedere, facendole scivolare sino alle sottili ed esili caviglie.
“Perfetto, non si deve essere ostacolati da nulla quando si sculaccia…, coraggio, mettiglielo completamente a nudo”, m’ordinò Valeria.
Consiglio, questo, del tutto superfluo, infatti, avevo già sollevato la camicia ed avevo ora sotto gli occhi un paio di deliziose natiche, le migliori che mi fosse capitato di vedere recentemente. Per essere nude, lo erano davvero, dalla vita in giù, sino alle cosce…, si serravano l’una all’altra con vergognoso pudore, proprio come quelle delle ragazzine che, per la prima volta, devono esibirlo, loro malgrado, alla severa educatrice.
Con ampio gesto della mano, accarezzai tutta la superficie di quel culetto offerto dopo di che, scorrendo dall’alto verso il basso, lungo il solco mediano, mi fermai su una delle cosce che, con lieve pressione delle dita, costrinsi a scostarsi dall’altra. Non soddisfatta, afferrai a piene mani entrambe le gambe e le costrinsi, con viva forza, a divaricarsi.
La fessura mediana s’aprì come per incanto…, al posto di un culetto contratto e teso, avevo ora d’innanzi due dolci e morbide chiappe totalmente abbandonate e subito mi misi a picchiettarle facendone vibrare l’invitante massa rosea.
Liberata ansimava e riuscii ad intuire che mi incitava a sculacciarla mentre si lasciava massaggiare il culetto con palese gaudio. La mia prima sculacciata, echeggiò prontamente in risposta al suo invito. Inoltre. Poiché mi sembrava che ne avesse una grande voglia, accantonai ogni remora e la sculacciai con tutto l’ardore e le forze. Il suo culetto era così ampio che dovetti percuoterlo a lungo per poterne ricoprire l’intera area e non ricordo quante sculacciate si resero necessarie per colorarlo di rosso. Per quanto mi impegnassi al massimo, sembrava quasi che la mia sculacciata non riuscisse ad interessarla più di tanto. Sì, il suo corpo fremeva, sussultava, il suo culetto sobbalzava e s’inarcava ad ogni sculacciata in modo grazioso ma io la sentivo ridere con un riso nervoso, come inappagata per non potere ricevere un’autentica sculacciata degna del suo culo. Allora, feci un cenno a Valeria che, intuita al volo la situazione, mi porse il frustino.
In un lampo, la scena cambiò completamente. Le natiche di Liberata, sottoposte alle vigorose frustate delle corregge di cuoio, si misero a ballare la “danza del culo”, ritmo sfrenato che ben conosce chi sculaccia. Il rosso sedere, reagì violentemente ad ogni sculacciata, tutto striato in lungo ed in largo, si apriva superbo per subito richiudersi senza posa mentre i gemiti si intensificavano a dismisura.
Sebbene impegnassi tutte le mie energie, mi resi conto che non era ancora la sculacciata che Liberata necessitava: feroce, implacabile e selvaggia. Valeria se ne accorse e, giunta presso di me, strattonò Liberata dalle mie ginocchia.
“Ora ti faccio vedere io di cosa abbisogna questo impertinente culo di bagascia”, ed in meno di un minuto, le sue mani esperte denudarono completamente il superbo corpo della corrigenda che vedevo fremere e vibrare senza nessuna capacità reattiva. Riuscii a malapena a scorgere il seno opulento della giovane donna e la folta peluria che adornava il suo basso ventre; Valeria l’aveva già spinta sul divano costringendo Liberata a stendersi, pancia sotto. Impugnato saldamente il frustino, tese il braccio destro verso l’alto e prese a frustarle con vigore le chiappe già rosse.
Allora, mentre Felicita mi abbracciava stretta in vita e mi accarezzava con la sua mano esperta facendomi gustare a più riprese l’ambrosia degli dei, assistetti tremante e fremente alla selvaggia sculacciata di quell’impertinente culetto di Liberata. Valeria maneggiava il frustino in maniera superba che cadeva ripetutamente sulle nudità contratte lasciandovi, ogni volta, una nitida traccia del suo passaggio: sia sulle natiche, sia sulle cosce. Liberata si tendeva, si piegava, si contorceva sotto i morsi feroci delle temibili e temute corregge di cuoio. Il deretano scarlatto si ricoprì rapidamente in un fitto reticolato di arabeschi violacei che dovevano causarle un atroce bruciore.
Valeria era bella, ma in quel frangente lo era ancor più. Le labbra serrate, lo sguardo imperioso, frustava, sculacciava, senza che il suo braccio denunciasse il minimo affaticamento o cedimento. Come in precedenza aveva fatto con la sottoscritta, insultava la punita con frasi e parole volgari e grossolane che contrastavano, nettamente, col suo abituale comportamento distinto e garbato.
“Prendi, puttanella, tieni! Tieni anche questa, brutta cagna in calore che non sei altro…, Per un culo come questo ci vuole solo la frusta! Dai, sudicia viziosa, confessa! Come ti senti a prendere tutte queste frustate? E a culo nudo, poi… ah, se vedessi com’è rosso”.
Liberata, urlava e gridava disperatamente a pieni polmoni ma non cercava di sottrarsi alle sculacciate anche se agitava il corpo sinuoso ed il fantasmagorico culo. Barbara, la incalzava:
“Stai ferma, mantieni la posizione, brutta porca, altrimenti ti faccio tenere le gambe bene aperte da Felicita e da Elena…, vuoi che ti frusti il culetto nell’altro senso? Dal basso verso l’alto, mi capisci? Bada a te, se non vuoi che ti strappi i peli della fichetta ad uno, ad uno…”.
Così, con le cosce serrate e le natiche incollate, Liberata ricevette sino in fondo la sua sculacciata. Solo quando l’intera superficie del culo ebbe ricevuto su di ogni centimetro la robusta dose di sculacciate, Valeria gettò il frustino sul pavimento ed appoggiò la sua mano sinistra in mezzo alla schiena della poveretta mentre, con la mano destra, nervosa ed impietosa, continuò a sculacciarla facendo risuonare allegramente ogni colpo. Mettendo fine a quella formidabile ed indimenticabile correzione, Valeria mi rivolse la parola:
“Hai visto, Elena, come si sculaccia un culo del genere?”
Giunse l’ora di andare a dormire. Ognuna di noi aveva una propria camera ma, per tutta la notte, ci fu un andirivieni per il corridoio, contrassegnato da risate soffocate, gemiti profondi ed acuti strilli ai quali, non di rado, faceva da sottofondo il suono schioccante ed argentino di una sculacciata a mano impartita severamente su vari culetti debitamente denudati.
Riuscii a prendere sonno solo all’alba e la mattinata era già avanzata quando fui svegliata da grida e scoppi di risa provenienti dalla camera di Valeria, ubicata proprio accanto alla mia. Mi alzai in fretta e furia e, così com’ero, in camicia da notte ed a piedi nudi, mi precipitai nella camera.
Lo spettacolo era delizioso. Liberata e Felicita erano entrambe in punta di piedi ed avevano sorpreso Valeria, ancora dormiente. Tutte e tre erano in camicia da notte, come me. Le coperte di Valeria erano rovesciate ai piedi del letto e Liberata, seduta sulla sponda, tentava di mantenere la ragazza sulle proprie ginocchia, a pancia sotto, mentre Felicita le immobilizzava le gambe. Il grazioso quadretto era completato dalla presenza della fidata cameriera Corinne, che teneva fra le mani, ridendo con gusto, una pera di gomma rossa, lucida e rigonfia. Il mio arrivo fu salutato da esclamazioni di giubilo da parte di Liberata che mi ordinò:
“ Svelta, forza, vieni ad aiutarci a tenerla ferma”.
Mi precipitai e, afferrando un cordone da tenda che giaceva presso la finestra, approfittai del fatto che Valeria gettasse entrambe le braccia all’indietro, in gesto di difesa, per imbrigliarle assieme i polsi, immobilizzandoli dietro la sua schiena.
“Brava”, esclamò Liberata “ora tienila ben ferma per le spalle”.
Non me lo feci ripetere una seconda volta e Barbara, ora, era perfettamente immobilizzata. Si dibatteva furiosamente ma, tutto era inutile.
“Accidenti a voi, lasciate che mi liberi e vedrete… vi toglierò la pelle dal culo”, urlò Valeria.
“Parla, parla pure” replicò Liberata, “ora è alla pelle del tuo bel culetto che devi pensare. Mi hai fatto troppo male ieri sera ed ora voglio vendicarmi. Stai tranquilla… io non sarò crudele come te. Mi accontenterò di sculacciarti con la mano tenendoti sulle mie ginocchia, come una ragazzina… poi, per accrescere al massimo la tua umiliazione, riceverai anche un bel clisterino… che ne dici del mio programma?”
Per tutta risposta, Valeria fece sobbalzare ritmicamente il suo delizioso culetto ancora velato dalla camicia. Attraverso la seta, le mani di Liberata palparono ed accarezzarono a lungo le rotonde e morbide natiche; sollevarono a poco, a poco la camicia che iniziò la salita lungo il dorso: prima apparirono in tutto il loro splendore le due natiche sode ed elastiche, piccole e mobili, separate da una riga sottile e bruna sulla quale, il mio sguardo si concentrò subito, ipnotizzato al pensiero che, di lì a poco, l’avrei vista aprirsi e spalancarsi per permettere l’accesso al puntale gommoso della pera da clistere. Ora, il sedere di Valeria era completamente nudo ma Liberata, non ancora soddisfatta, continuò a rimboccare la camicia scoprendole reni e dorso. Valeria è completamente nuda ed io, per tenerla ferma, avverto sotto i palmi delle mani il morbido e fremente tepore della sua epidermide.
Felicita, chinatasi su di lei, esclama:
“Oh, che culetto delizioso, il tuo. Cattiva che sei… ah, non lo volevi mostrare…, quando si possiede un paio di natiche come queste è un delitto rifiutarne la visione alle amiche, tanto più che queste ultime non hanno esitato a mostrarti i loro rispettivi deretani…, che meraviglia, com’è liscia la tua pelle…, com’è morbida e tenera. Ma come deve essere ancora più bello questo culetto quando una buona sculacciata lo avrà debitamente riscaldato e reso ancora più colorato di rosso…, coraggio, Liberata, sculaccialo! Vedi come ti si offre questo culo, come s’abbandonano queste natiche nude e semi aperte? Sono impazienti d’essere sonoramente sculacciate dalla tua mano inflessibile ed implacabile…, il mio sedere conosce bene le tue carezze penetranti…! Su, Liberata, sculacciala per bene questa ragazzina cattiva, suonagliele di santa ragione sull’insolente culetto!”
Avvenne ciò che Liberata aveva promesso. Una sculacciata dopo l’altra e, a poco, a poco, la pelle delle natiche prese il colore del mattone cotto finché, dominando le urla strozzate della punita, Liberata si fermò ed ordinò a Corinne:
“Adesso il clistere”.
Subito, Corinne si avvicinò al gruppo mentre il culetto di Valeria si contrasse istintivamente. Piegata sul suo sedere, Liberata le prese una natica con ciascuna mano e le allargò il più possibile.
“Ah, eccolo qui, il piccolino…, come si presenta bene. Penso che entrerà senza fatica e senza bisogno di lubrificarlo…, vieni, vieni Corinne ed esegui. Hai sentito Valeria, sarà la cameriera a somministrarti la peretta introducendoti la cannula nel tuo forellino crespato…, hai vergogna, vero?”
La fessura era oscenamente spalancata ed il piccolo buco posteriore, completamente dilatato. Con un sorriso malizioso sulle labbra, Corinne si chinò, dirigendo l’estremità appuntita della pera verso il minuscolo nido che, al primo contatto, ebbe una brusca contrazione.
“No, Valeria, fai la brava, su, su…, aprilo meglio, vedi di collaborare se non vuoi un’altra sculacciata, ecco, così, brava…”.
Dolcemente, lentamente ma inesorabilmente, la cannula sparì per tutta la sua lunghezza, fra le natiche rosse e divaricate. Liberata, le tenne premute l’una contro l’altra, sino a quando la pera non fu svuotata fino all’ultima goccia. La benefica ondata penetrò, gorgogliando a piccoli fiotti, nel culo di Valeria che, per tutta la durata dell’operazione, continuò a fremere in maniera deliziosa.
Assistemmo al completo rituale in silenzio religioso con gli occhi incollati a quel culo penetrato, ardente ed assetato sino a che, Corinne, annunciò con solennità che l’operazione era terminata.
“Elena”, mi chiamò Liberata, “vieni tu a sfilarle la peretta”.
Non aspettavo altro e con dolce emozione dischiusi le natiche di Valeria e n’estrassi delicatamente lo strumento prigioniero lasciando, più a lungo del necessario, che il mio dito indugiasse sul fondo caldo e tumido della fessura vogliosa.
Ora, con mano divenuta leggera, Liberata sculacciava leggermente il sederino sul quale, poco prima, si era accanita con tanto ardore mentre io, intanto, slegavo i polsi a Valeria, la quale, appena fu libera, si alzò di scatto e con le mani incollate al culo uscì correndo dalla stanza, ansiosa di liberarsi del peso superfluo.