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Desidero ringraziare pubblicamente la signora Marshall per la sua squisita ospitalità e per la grande disponibilità dimostrata nei nostri confronti; un “grazie” particolare deve essere tributato anche alla sua amica (che ora è anche mia) Pamela per essersi prestata di buon grado all’esperimento ed avere testato sul suo magnifico, paffuto, scultoreo e perfetto culetto tutto il “parco” strumenti di seguito sommariamente descritto.

 

Incontro con Brenda Marshall (seconda parte)

di Paul Stoves

 

Dopo la breve pausa, dove con appetito abbiamo consumato un frugale pasto, si è proceduto alla seconda - ma non meno severa - parte punitiva e dimostrativa sulle terga della nostra impertinente allieva. Lo strumento scelto dalla mia ospite è stato il Castigo strap. La nostra corrigenda è stata fatta stendere, a pancia sotto, su di un gonfio cuscino che ne mette in magnifico risalto le deliziose curve cesellate della sua anatomia posteriore. Brenda mi ha informato che quest’attrezzo è stato il primo ad entrare nella sua collezione personale ed ella lo acquistò una trentina d’anni addietro. Lo strumento, che può avere effetti devastanti sui culetti teneri, deve essere usato con moderazione ma, soprattutto, con cognizione di causa. Brenda mi ha raccontato di avere comprato questo micidiale strumento punitivo in un negozio di Soho che, all’apparenza, vendeva e riparava gli ombrelli. In realtà, in esso si producevano raffinati strumenti per la disciplina corporale che erano sapientemente forgiati dalle mani di un mirabile artigiano del cuoio con i materiali più pregiati presenti sul mercato d’allora. Sino a qualche anno fa (ma forse ancora oggi), si poteva osservare una “coda” di una decina di persone nell’attesa d'entrare nel piccolo laboratorio. Fortunatamente, la nostra allieva doveva solo testare il Castigo strap: dico “fortunatamente” perché, dopo una quindicina di colpi amministrati dalla mano esperta di Brenda su quelle povere natiche provocanti, il culo presentava già una notevole tumefazione ed un colore rosso accesso che aveva dell’incredibile. La punita sussultava vergognosa sul cuscino, dilatando e serrando le chiappe in modo spasmodico, rivelando ai testimoni presenti, ogni suo più segreto e recondito orifizio.

Dopo avere controllato le condizioni del culetto, Brenda volle illustrarmi le proprietà e gli effetti che si raggiungono con un altro strap, l’Argentina. Uno strumento che, grazie ella sua leggerezza, è maneggevolissimo e non necessità di molta forza per infliggere forte dolore e bruciore. Chiamato Argentina, in quanto molto usato in questo Paese, sugli equini. Facile da recuperarsi nei numerosi empori di Buenos Aires e delle maggiori città di quella repubblica. Lo strumento che mi pose davanti agli occhi, aveva un’impugnatura magnificamente adornata con borchie d’argento ed ottone che ne impreziosivano ancor più la fattura. Brenda assestò una decina di colpi sul culetto della nostra recalcitrante corrigenda che iniziava ad accusare i colpi che cadevano inclementi sulle nude chiappe martoriate. La colorazione del culo aveva raggiunto, in alcune zone, la tonalità purpurea. La rima mediana delle natiche, si presentava ampiamente svasata a causa della posizione assunta. Ero certo, giunti a questo punto, che Brenda avrebbe interessato al castigo la parte interna delle chiappe e delle cosce, zona molto tenera, sensibile e quasi completamente indenne dai colpi sino a quel momento impartiti.

Lo strumento successivo, quello che apparve quasi miracolosamente nelle mani di Brenda, era ancora uno strap, uno di quelli usati nelle carceri sino a non molti anni or sono. Costituito da una doppia e spessa striscia di cuoio della lunghezza di circa cinquanta centimetri è dotato, nell’impugnatura, di una borchia di metallo. Da un lato, assomiglia incredibilmente alla cintura che vestono i poliziotti americani, mentre sull’altro, reca una lunga serie di buchi (per renderlo più leggero e maneggevole). Quattro colpi bene assestati sul culetto, furono sufficienti a fare sì che la nostra punita ringraziasse il cielo di non trovarsi in un carcere di quel tempo! Pam, sebbene fosse esausta, rimase col culetto all’insù, in bella vista ed offerto alla carezza dei colpi severamente inferti dalla mano castigatrice.

Giunti a questo punto, Brenda mi porse un bellissimo frustino di cuoio, un leather crop, per intenderci. Un inconfondibile manufatto di Swaine e Agney, in Londra, a mio giudizio il più importante negozio di cuoio e pelle. L’impugnatura e l’anima, entrambe in pregiato legno naturale, erano rivestite da un sottile strato di pelle dipinta di colore nero che rendevano lo strumento flessibile e robusto pur non contenendo alcun’anima in metallo. Lo feci sibilare nell’aria e guardai negli occhi Brenda. Ella mi fece un segno d’assenso; questo significava che potevo testarlo sul culetto di Pamela. Mi diverte usare questa sorta di frustino. La superficie dell’area che con esso si colpisce è così piccola che, sembra, non crei particolare danno. La sua maneggevolezza e l’eccezionale flessibilità, fanno sì che con esso si possano raggiungere anche quelle piccole porzioni d’epidermide nascoste all’interno delle cosce, per non parlare di tutta quella zona che interessa l’interno delle natiche ed il perineo. Pamela è in visibilio: dal suo rigoglioso e profumato fiore, stilla copiosamente, ad ondate, un denso umore paragonabile solo al nettare più mieloso.

La vista d’alcune spazzole per capelli, due per l’esattezza, la fanno nuovamente sussultare. Quella con l’impugnatura in avorio, è un piccolo capolavoro d’artigianato di fine ottocento. Non riesco ad immaginare su quanti culetti sia stata usata da Brenda e, prima di lei, dai precedenti proprietari. Brenda impugna l’altra, quella che abitualmente usa per spazzolarsi i capelli. Entrambi, in sincronia, ci “accontentiamo” di percuotere il dorso delle stesse sul palmo delle nostre rispettive mani: ci deliziamo, nell’osservare i fremiti e lo sguardo impaurito che il noto e sinistro suono provoca in Pam.

Anche con il “rasoio del barbiere” devo desistere. La natura stessa dello strumento e le sue misure, mi obbligherebbero all’estensione completa del braccio mentre percuoto il culetto. Molto più adatto per le sculacciate e/o i castighi da impartirsi in luoghi esterni quali, ad esempio, il giardino, l’ampia legnaia o la stalla. Qui in Inghilterra, soprattutto in campagna, ogni casa può avere queste pertinenze, più o meno ampie. Questo strumento punitivo, dicevo, ha una lunghezza di circa cinquantotto centimetri e le due fasce che lo compongono, sono altre dai quattro ai cinque centimetri. Capirete bene che, per essere certi di colpire correttamente e di piatto il bersaglio, bisogna essere alla giusta distanza dallo stesso, altrimenti lo strumento tende ad avvinghiare e/o ad avvolgere le cosce della punita/o con le conseguenze che tutti potete bene immaginare. Non mi sembrava il caso di sottoporre Pamela a quest’ulteriore supplizio che, in altra sede ed opportuna occasione, non le avrei certo risparmiato. La lunga durata del castigo a cui si era volontariamente sottoposta e le ormai precarie condizioni in cui giaceva il suo morbido culetto, ci fecero preferire uno strumento meno devastante.

L’ultimo strap che restava da provare era quello che chiameremo Avocado. Molto pesante, era costituito da un robusto pezzo di cuoio, perfettamente oliato, proveniente da una vecchia macchina operatrice agricola dove, ma potrei sbagliarmi, fungeva come una specie di cinghia di trasmissione. La parte terminale era stata arrotondata con maestria mentre l’impugnatura era rimasta grezza. Brenda mi spiegò che lo aveva chiamato Avocado poiché le era stato omaggiato da un agricoltore statunitense che aveva una piantagione di questi frutti e che lo aveva auto-costruito affinché la sua compagna potesse usarlo sul suo culo robusto e muscoloso. Agli esordi di questa sua passione, Brenda usava pubblicare alcune inserzioni sulle riviste specializzate alla ricerca di compagni/e con cui giocare. Fu così che incontrò questo distinto signore americano, di circa una sessantina d’anni a cui era di recente scomparsa la Domina. Egli si presentava da Brenda mensilmente, recando seco lo strap in questione; un bel giorno, con gran sorpresa, omaggiò Brenda di quell’attrezzo che tanti piaceri gli aveva dato, certo di lasciarlo in buone mani. Con esso, mi limitai nell’impartire solo un paio di colpi, rispettivamente uno per natica. Pamela lanciò un grido, per entrambi. Il suono provocato dall’impatto con la superficie sferica dei globi fu attutito, quasi ovattato e mi resi conto di quanta poca forza fosse necessaria per causare un sì forte bruciore.

Venne il momento dei canes.

Nell’armadio vittoriano di noce scuro erano accuratamente riposti almeno un centinaio di questi strumenti: di tutte le fogge, misure, spessori e decorazioni. N’estrasse qualcuno, sempre maneggiandoli con gran cura e notevole padronanza, e li fece sibilare nell’aria per mostrarmi la loro flessibilità e leggerezza. Brenda, del resto, è tuttora conosciuta per la sua abilità ed infallibile mira: quando individua il bersaglio (e tutti sapete a quale mi riferisco), non lo manca mai, colpendo esattamente la porzione che vuole andare a sollecitare! Fra tutti questi, con sfumature di colori diversi ma nella globalità tendenti al bruno, ne spiccava uno; ed il primo che volli provare fu proprio quello di colore rosso: costruito per un professore d’Eaton, la scuola londinese dove i ragazzi sono regolarmente castigati corporalmente. Brenda aggiunse che, solitamente, un cane non durava così a lungo, ma siccome lei vi era particolarmente affezionata, l’aveva pitturato e verniciato così tante volte che esso appariva come nuovo.

Brenda me lo porse come se mi affidasse una reliquia. Lo saggiai nell’aria ed il sibilo che produsse fece sobbalzare la povera Pamela: l’epidermide delle sue deliziose chiappe si coprì di “pelle d’oca” ed il sederino, nella sua totale sfericità, si mise a fremere come una foglia al vento settembrino.

Feci scorrere il sottile strumento, trasversalmente sulle natiche e poi, con sadica lubricità, anche in senso longitudinale, penetrandola nel solco intergluteo. Le titillai a lungo la rima vaginale e l’orifizio posteriore. Aveva davvero un culo maestoso e col suo socchiudersi continuo sembrava quasi volesse farmi l’occhiolino. All’improvviso, alzai il braccio e le assestai la sferzata. Pamela soffocò l’urlo mordendosi la mano. Dopo qualche istante, una riga di colore rosso apparve sulla pelle colpita, intensificandosi sempre più. Raggiunta la tonalità porpora, la striscia si gonfiò enfiandosi, creando sul fondo rossastro del culetto, uno stupendo arabesco violaceo. Non osai immaginare quale potesse essere l’effetto di una dozzina di colpi!

Volendo provare però, anche l’altro cane, quello col manico ricurvo – per intenderci, quello che ha l’impugnatura simile al comune ombrello – decisi che il cane rosso doveva tornare al suo posto, nel reliquiario.

Certo è che, con tutti quegli attrezzi da provare, avrei dovuto disporre di più culetti. Quello di Pamela, aveva sopportato tutto quanto era in suo potere e non potevo chiedergli altro. Continuare, anche se Pam era consenziente e m’invitava al proseguo del gioco, significava andare oltre, superare il comune buon senso. Questo, lo ricordo, non deve mai avvenire ed un buon Master deve sempre sapere quando è il momento di fermarsi, quando la sospensione del gioco si rende necessaria, al di là d’ogni ragionevole dubbio.

Penso proprio che quest’estate tornerò a respirare l’aria della campagna inglese: mi ha fatto tanto bene.

Paul Stoves